La Bibbia nell’età moderna e contemporanea

di Rinaldo Fabris

(dispensa presentata nel corso del Master Bibbia e cultura europea 2008)

 

 

1. L'eredità medievale (filologia araba ed  esegesi ebraica)

La ricerca ha spesso dimenticato l’apporto importante della filologia islamica che ha avuto il suo epicentro in Spagna, dove si è creato un fecondo scambio culturale tra cristiani, ebrei e islamici.

Il primo autore importante in questo senso è Nicola di Lira (1270-1340),  francescano ed ebraista. Egli è uno dei primi ad utilizzare commenti rabbinici nella sua opera fondamentale, Postilla litteralis super Biblia, brevi annotazioni (post illa verba textus) di analisi filologica del testo biblico e di interpretazione teologico-spirituale (padri). Nella ratio studiorum dei Gesuiti di fine Cinquecento si metteva in guardia dal testo del Liranus, proprio per l’uso di testi rabbinici. Grande merito di Nicola di Lira è l’attenzione filologica al testo biblico, di cui sarà debitore lo stesso Lutero (è noto il detto: Si Liranus non lirasset, Lutherus non saltasset).

Sono importanti anche i testi e gli autori greci classici tradotti dagli arabi (siamo nel periodo abbasside a Bagdad), tra cui grammatiche i vocabolari.

Tra gli autori ebrei sono da menzionare:

Sa’adia ben Joseph (882-942), originario dell’Egitto, opera nella comunità babilonese di Sura (gaòn,“eccellente”, “capo”) e dà avvio a un indirizzo di esegesi filologica e interpretazione razionale della Bibbia.

Moshè ben Maimon (Maimonide, 1135-1204), nato a Cordova, medico e giudice, opera in Egitto. La sua opera più famosa è il Moreh Nevukim (Maestro degli erranti) e propone un'interpretazione filosofica-teologica della Bibbia.

Rabbi Shelomoh ben Isaak di Troyes detto Rashi (1040-1105): dopo gli studi a Magonza e Worms, fonda a Troyes, nello Champagne, una scuola esegetica che fonde insieme esegesi letterale e tradizionale (midrashica) del testo; il  suo commento al Talmud e ai libri biblici (soprattutto alla Torâh) saranno un punto di riferimento per l'esegesi ebraica e anche per i commentatori cristiani dell'epoca moderna.

Abraham ben Meir ibn Ezra (1089-1164), nato a Tudela, Spagna, vive e opera a Cordova, in Italia (Roma, Luca, Mantova, Verona), in Francia (Narbonnne, Béziers, Rouen e Dreux) e a Londra. La sua è un’esegesi letterale della Bibbia (grammatica e filologia) e un’interpretazione filosofica di indirizzo neoplatonico e aristotelico (con la mediazione di Avicenna); nel Sepher ha-jasar (Libro del giusto), dei cinque metodi esegetici egli esclude quello dei rabbini babilonesi, dei Qaraiti, degli allegoristi, dei midrasîm, e accetta quello filologico-letterale fondato sui dizionari e grammatiche della tradizione arabo-spagnola.

Rabbi David Qimhi = Radaq (n. a Narbonne-Provenza nel 1160 - m. 1235), eredita dal padre  Josef emigrato dalla Spagna il patrimonio dell'esegesi filologica razionale degli ebrei spagnoli, fondendola con quella più tradizionale del centro di studi ebraici di Narbonnne.

Sempre dalla penisola iberica provengono:

Isaak ben Juda Abravanel (1437-1508); da Lisbona, dopo il 1492, si trasferisce a Napoli alla corte di Ferdinando I e Alfonso II, poi a Messina, Corfù, Monopoli (Puglie) e Venezia. Importanti sono le sue introduzioni e commenti ai libri biblici, Pentateuco in particolare, e l’analisi  letteraria e storica del testo biblico.

‘Obadiah ben Jakov Sforno (1475-1550): la sua è una lettura filologica, scientifica e filosofica del testo biblico, senso letterale e morale (tradizione rabbinica); commento stampato nelle edizioni delle Bibliae Magnae (Miqra’ot Gedolot) assieme a Rashi, Ibn ‘Ezra, Nachmanide.

L'indirizzo filologico nello studio dei testi biblici prosegue nell'ambiente italiano ad opera dell'ebreo tedesco Elia ben Asher Levita, detto Bachur (1468-1549) e dell'ebreo tunisino Jakov ben Haim (1470-1538).

 

 

 

2. Umanesimo e Rinascimento

a. Lo studio delle lingue bibliche

Sull’onda della riscoperta dei testi classici, vengono create delle scuole per lo studio delle lingue bibliche. Si segnalano in particolare:

il collegio di Oxford con Roberto Grossatesta;

il Concilio di Vienne (1311-1312), con un decreto di Clemente V, istituisce l'insegnamento dell'ebraico, del greco, del caldeo-aramaico e arabo nelle università di Bologna, Parigi, Oxford e Salamanca e nella corte pontificia di Roma;

il collegio trilingue (ebraico, greco e latino) a Parigi e Lovanio;

Leone X istituisce a Roma la cattedra di ebraico e lingue orientali. A Leone X si deve il sostegno per la pubblicazione della Poliglotta di Alcalà.

 

b. Umanisti e studio delle “Sacre Lettere”

 

Leonardo Bruni

 

L’iniziatore dello studio della Bibbia sui testi originali è Gianozzo Manetti (Firenze 1396), che sarà poi segretario pontificio presso Nicolò V, il fondatore della Biblioteca Vaticana. Egli lascerà una traduzione sul testo originale dei Salmi con note filologiche.

Nel suo Trattato sugli studi e lettere del 1423/1426 Leonardo  Bruni (1370-1444) dice: «la fede  cristiana deve essere fondata sulla conoscenza  delle  lettere».

 

Lorenzo Valla, (Roma 1405-1457), approdato alla corte pontificia di Nicolò V, con l’umanista Tommaso Parentucelli, prepara il In Novum Testamentum ex diversorum utriusque linguae codicum collatione adnotationes (1449), un confronto tra la traduzione di Girolamo e il testo greco.

Desiderio Erasmo di Rotterdam nel 1505, nell'ambito del suo progetto di riforma della cristianità sulla base delle “belle lettere”, pubblica a Parigi il manoscritto di Lorenzo Valla, stimolo e modello per l'edizione critica del Novum Testamentum graece (febbraio 1516, editore Froben di Basilea dedicata a Leone X); seguiranno altre quattro edizioni: 19192, 19223, 19274 (+Vg), 19365.

 

 

 

3. La  Riforma protestante

a. Nuovi orientamenti ermeneutici

Martin Lutero (1483-1546), in opposizione alla dialettica scolastica e all'autorità tradizionale dei padri, afferma il principio del sola Scripura, la Bibbia è “interprete di se stessa”; il criterio ermeneutico è la giustificazione per la fede tramite Gesù Cristo: la Scrittura vincola la coscienza in quanto predica Gesù Cristo salvatore; criterio di canonicità dei libri biblici dell'AT e del NT: prefazioni alla Bibbia tradotta in tedesco (1522); Lutero traduttore della Bibbia e teologo, commenta alcuni libri e testi biblici nella sua attività di pubblicista e predicatore.

 

Lutero

Calvino

Melantone

Zwingli

b. Commentatori - esegeti

I principali esponenti dell’esegesi protestante sono:

Giovanni Calvino (1509-1564), commenta la Bibbia secondo i principi ermeneutici della Riforma attento al senso letterale e teologico;

Filippo Melantone (1497-1560), umanista, filologo;

Ulrico Zwingli (1484-1531)), trattati e commenti ai libri biblici (Genesi, Esodo, Isaia); traduzione di tutta la Bibbia in tedesco 1531 presso Froschauer (Lutero 1534);

Ugo de Groot - Grotius (1583-1645), commenti di carattere storico e filologico;

Giovanni Cox - Cocceius (1603-1669), commenti di carattere teologico.

 

 

 

4. La Controrifoma cattolica

a. Il Concilio di Trento

decreto sulle “Scritture canoniche”, edizione e uso dei libri sacri (sessione IV dell'8 aprile 1546); criterio ermeneutico tradizionale: «Nelle materie di fede e di costumi, che fanno parte del corpo della dottrina cristiana, (nessuno) deve osare distorcere la sacra Scrittura secondo il proprio modo di pensare, contrariamente al senso che ha dato e dà la santa madre Chiesa, alla quale compete giudicare del vero senso e dell’interpretazione delle sacre Scritture; né deve andare contro l’unanime consenso dei padri...» (Enchyridion Biblicum 62).

insegnamento della sacra Scrittura nelle chiese metropolitane o cattedrali e nei monasteri e conventi (V sessione  giugno 1546)

effetti del Concilio di Trento: edizione critica della Vulgata Clementina (1592), e della Settanta (1578), istituzione dell'insegnamento della sacra Scrittura nella formazione del clero (seminari).

 

b. Il  “secolo d'oro” dell'esegesi cattolica (1563-1663)

Tra gli italiani si segnalano:

Tommaso de Vio, detto “Caietano” (1468-1534), umanista, partecipa al Concilio di Trento; traduzione e commento dei libri dell'AT e NT (Roma-Parigi 1527-1534)

Cornelio Musso (1510-1574), commento alle Lettere di Paolo (Venezia 1588)

Girolamo Seripando (1492-1563), commento a Gal e Rm (Anversa-Venezia 1567.1569)

Isidoro Clario (Taddeo Cucchi di Chiari) (1495-1555), edizione critica della Bibbia (latino), commenti (Ct e NT) (Vienna 1544; Venezia 1541)

Luigi Lippomano, commenti all'Esodo e Salmi (Parigi 1546-1550; Roma 1585)

Antonio Agelli (Agellius) (1532-1608), commissione per l'edizioni critica della Vg e dei LXX, commento ai Salmi e Cantico dei Cantici (Roma 1606; Colonia 1607; Parigi 1611)

Giovanni Stefano Menocchio (1575-1655), commento letterale a tutta la Bibbia (Bologna 1630, 1659; Anversa 1679; Lione 1683, 1697)

 

Tra gli spagnoli:

Alfonso Tostado (1400-1455), Salamanca, ha commentato quasi tutti i libri della Bibbia

Alfonso Salmeron SJ (1514-1585), partecipa al Concilio di Trento, commenti ai Vangeli

Juan Maldonado SJ (1534-1583), commenti ai Vangeli, ai profeti

Francesco Toledo (1532-1596), commento al Vangelo di Giovanni e Lettera ai Romani

Benedetto Pereyra (1535-1610), commento a Genesi, a Daniele, Romani e Apocalisse

Manuele Sa (1530-1596), commissione edizione critica LXX, commento ai Vangeli, e Bibbia

Francesco Rivera (1537-1591), Salamanca, commenti ai profeti minori, Gv, Eb, Ap

Benedetto Arias Montano (1527-1598), poliglotta di Anversa, commenti AT-NT

 

Altri esegeti meritevoli di segnalazione:

Girolamo Oleaster di Azambuia (1500-1563), portoghese, partecipa al Concilio di Trento, commento al Pentateuco, ad Isaia

Francesco Foreiro (1523-1587), partecipa al Concilio di Trento, commento a Isaia (Critici Sacri)

Giacomo Bonfrère (1573-1642), francese, commenti ai libri dell'AT

Nicolò Serario (1555-1609), tedesco, commenti ad alcuni libri dell'AT e alle Lettere cattoliche

Giacomo Tirino SJ (1580-1686), commenti all'AT e NT, di carattere teologico controversistico

Giovanni Gordon SJ (1549-1641), commento alla Bibbia, di carattere teologico

Cornelius Cornelissen van den Steen SJ (1567-1563), Lovanio e Roma, commenti a tutti i libri della Bibbia, di carattere erudito, teologico e moraleggiante

 

 

 

5. eDIZIONI DELLA Bibbia (secoli xv-xvii)

a. Bibbie a stampa

Bibbia ebraica (Testo Masoretico)

1477: Bologna, libro dei Salmi, con il commento di Qimhi

1482: Torah, con il commento di Rashi

1488: Bibbia completa presso Samuel-Simon Soncino

1516-1517: Bibbia rabbinica presso Daniel  Bomberg, in quattro volumi

 

Bibbia latina

1452-1456: Vg, presso G. Gutenberg - G. Furst - P. Schröffer, in 150 esemplari, pag di 42 righe

1504: Vg corretta, Adriano Gumelli, Parigi

1506: Vg corretta, Alberto Castellano, presso Lucantonio Giunta, Venezia

1527: traduzione di Sante Pagnini, presso Giacomo Giunta, Venezia

1528: Vg corretta, Robert Etienne, Parigi (prima divisione in versetti)

1550: Vg critica, Giovanni  Henten, Lovanio e Basilea

1565-1569: Bibbia di Lovanio, presso C. Plantin (Venezia 1571-1572)

 

Bibbia italiana

1 agosto 1471: trad.dal latino di Nicolò Malermi (Malerbi), presso Vindolino da Spira, Venezia

1 ottobre 1471: Bibbia di ottobre, traduzione anonima, presso Adam da Ammergau, Venezia

1530-1532: trad. dai testi originali di Antonio Brucioli, NT e AT

1538-1545: trad. dai testi originali di Sante Marmochino, presso Lucantonio Giunta, Venezia

 

Bibbie in volgare proibite

1559: Indice dei libri proibiti, divieto di stampare, leggere e possedere versioni della Bibbia in volgare senza autorizzazione del santo Uffizio.

 

b. Bibbie poliglotte

Poliglotta di Alcalà (Complutensis) (1514-1552), Fracesco Ximenes de Cisneros, in sei volumi: testo ebraico, greco, latino, targum, vocabolario, grammatica, indici.

Poliglotta di Anversa (1568-1572), Cristoforo Plantin - B. Arias Montano, in otto volumi: testo ebraico, greco, latino, versioni siriaca e latina della Bibbia, apparati, archeologia.

Poliglotta di Parigi (1628-1655), in nove tomi e quindici volumi (dipende da quella di Anversa).

Poliglotta di Londra (1654-1657), Walton Brian - Thomas Roycroft, testo ebraico, greco, latino, samaritano, versioni siriaca, etiopica, araba e persiana.

 

c. Manuali di introduzione

Bibliotheca Sancta, di Sisto da Siena,Venezia 1566, in otto libri.

Clavis Scritturae, di Flacius Illyricus, Basilea 1567.

 

d. Commenti

Critici Sacri, in sette volumi, Londra 1660, raccolta dei commenti alla Bibbia, protestanti e cattolici (integrazione alla poliglotta di B. Walton)

 

 

 

6. La Bibbia nei secoli dell'illuminismo (xvii-xviii)

 

a. Inghilterra

 

Thomas Hobbes (1588-1679): il Leviathan, trattato di filosofia etico-politica razionale; diritti e doveri dei sudditi; intende fondare l'autorità assoluta del sovrano; la sacra Scrittura coincide con la ragione; la Bibbia come codice di leggi (legge naturale)

 

• John Locke (1632-1704): conosce l'ebraico; utilizza il NT fonte di norme etiche (tradizione umanistica)

 

• John Toland (1670-1722): propugna una lettura razionale della Bibbia, “il cristianesimo senza misteri”

b. Italia

Galileo propone la sua interpretazione della Bibbia nelle quattro lettere dette “copernicane”:

• una all'amico Benedetto Castelli nel 1613

• due a mons. Pietro Dini, referendario apostolico a Roma, nel 1615

• una lettera-trattato, dedicata a Cristina di Lorena, Granduchessa di Toscana, madre di Cosimo II, nel 1615.

 

In queste lettere, diffuse manoscritte, Galileo espone la sua interpretazione della Scrittura in rapporto con la teoria eliocentrica copernicana. Nella lettera-trattato a Madama Cristina, anticipata per il  suo contenuto essenziale nella lettera a  B. Castelli, Galileo, sulla base della tradizione che risale ad Agostino, espone la sua ermeneutica biblica. In primo luogo egli afferma che le dimostrazioni scientifiche non possono essere fondate sulla sacra Scrittura. Infatti lo scopo della sacra Scrittura non è di far conoscere le verità scientifiche, ma quelle della fede necessarie per la salvezza eterna. Inoltre, anche se egli ritiene fermamente che Bibbia e natura non possono contraddirsi perché hanno Dio come unico autore, tuttavia in materia scientifica la Bibbia dice pochissime cose e per lo più si adatta al modo di parlare comune e popolare. Perciò il sistema copernicano non può essere condannato in base alla Scrittura. D'altra parte, aggiunge Galileo alla fine, il testo di Giosuè 10,12-13, «fermati, o  sole», può essere interpretato altrettanto bene nel sistema copernicano.

È interessante rilevare che la formulazione galileiana della “verità” biblica sarà ripresa nella costituzione conciliare Dei Verbum del Vaticano II nel contesto del rapporto tra ispirazione e verità della sacra Scrittura: “I libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza - nostrae salutis causā - volle fosse consegnata nelle sacre Lettere” (DV 11). La convergenza si spiega con il fatto che ambedue i testi  quello di Galileo e del Vaticano II rimandano alla tradizione di Agostino e di Tommaso d'Aquino.

La “censura” del Santo Uffizio e la conseguente “ammonizione” notificata da Roberto Bellarmino a Galileo nel 1616 e poi la sua condanna del 1633, bloccano per due secoli la lettura della Bibbia proposta dal Galilei e in parte condivisa da alcuni esegeti  e teologi  del suo tempo. Si  deve attendere per l'ambiente italiano Ludovico  Antonio Muratori (1672-1750) per avere una presa  di posizione chiara sul rapporto tra Bibbia e scienza. Nella sua opera De ingeniorum moderatione in religionis negotio del 1714 A. Muratori afferma che lo scopo delle sacre Lettere non è quello di informare sulle cose profane, ma di inculcare l'amore di Dio e del prossimo. Inoltre l'interpretazione della Bibbia non è vincolata ad un sistema filosofico o scientifico che può arrivare solo a conclusioni probabili. Egli dice che si deve «impedire che alcuni in tal genere di questioni introducano facilmente o addirittura vi costringano l'autorità della Scrittura».

Questa impostazione equilibrata  del Muratori è un antitodo contro quelle tensioni  che in alcuni  casi sono sfociate in rotture e separazioni con gravi conseguenze per la lettura scientifica della Bibbia nell'ambito della cristianità.

Basti ricordare le disavventure dell'oratoriano Richard Simon (1638-1712), considerato il “padre della  critica  moderna”, che è costretto a pubblicare ad Amsterdam le sue opere di “Introduzione critica” all'Antico e al Nuovo Testamento. Egli  nella  prefazione della  sua  prima opera (1680) menziona le ipotesi di Baruch Spinoza circa l'origine del Pentateuco, ma ne contesta l'impostazione  di  fondo.

 

c. Olanda

 

Baruch Spinoza (1632-1677): nega l'origine mosaica; formula diverse ipotesi sulle fonti del Pentateuco  (cfr. Jean Astruc, Julius Wellhausen). Figlio di una famiglia di marrani portoghesi, ad Amsterdam egli riceve una formazione ebraica tradizionale. A contatto con le opere di Cartesio elabora il suo sistema di pensiero esposto nel Tractatus theologico-politicus, apparso anonimo nel 1670.

In quest'opera Baruch Spinoza attribuisce l'origine del Pentateuco e dei libri storici allo scriba Esdra. Per sostenere questa ipotesi su richiama ad alcuni maestri medievali ebrei. Invece l'apporto più originale e dirompente è il nuovo criterio ermeneutico, fondato sulla distinzione tra ragione e fede, filosofia e religione. Questi due ambiti, secondo B. Spinoza, non si oppongono né si contraddicono perché per vie diverse raggiungono ed esprimono la stessa realtà, dal momento che Dio non è altro che la natura.

Baruch Spinoza conclude affermando che la divinità della Scrittura risulta dal fatto che non insegna altro che la vera virtù. D'altra parte solo la Scrittura dà testimonianza del suo valore, per cui “tutta la conoscenza della Scrittura deve essere ricercata nella Scrittura stessa”. Egli conclude: “La regola universale per interpretare la Scrittura è questa: di non attribuire alla Scrittura alcunché che non risulti, e con la massima evidenza, dalla sua storia”. Ma l'ultimo criterio interpretativo di questa storia è la ragione umana: “È chiaro che la norma di interpretazione non può essere qualche lume soprannaturale o un'autorità esterna, qualunque essa sia, ma soltanto quel lume naturale che è a tutti comune” (B. Spinoza, Tractatus VII).

Si avverte in questa impostazione dello Spinoza nella lettura della Bibbia lo stesso spirito che sta alla base del deismo inglese, il quale si batte per una religione naturale senza misteri e rivelazione, propugnato da John Locke (1632-1704) e John Tolland (1670-1722).

 

d. Francia

Richard Simon (1638-1712), nasce a Dieppe da una famiglia povera, è avviato dal parroco al collegio degli Oratoriani e entra tra i novizi nella nuova casa a Parigi, dove dopo alterne vicende diventa sacerdote con l'incarico di insegnare filosofia; ma la sua preferenza va agli studi storici e filologici; conosce lingua greca, l'ebraico e il siriaco; utilizza la Biblioteca della casa madre degli Oratorinai (cataloga i manoscritti orientali provenienti da Costantinopoli) e quella regia di Parigi; nel 1670 con l'ebreo Jona Salvador legge il Talmud.

Nella primavera del 1678 Richard Simon aveva già stampati 1300 esemplari del volume  Histoire critique du Vieux Testament, mancava solo la pagina di copertina e la dedica - c'era già l'approvazione del censore, quella della facoltà teologica e quella dei superiori dell'ordine; si aspettava solo il ritorno dalle Fiandre di re Luigi XIV, al quale Simon sperava di poter dedicare il libro. Uno degli indici dei contenuti distribuiti a scopo di propaganda cadde nelle mani di Jacques-Bénigne Bossuet  difensore dell'ortodossia e molto influente a corte. A Boussuet bastò dare uno sguardo al titolo del quinto capitolo del libro I: “Mosè non può essere l'autore di tutto quello che si legge nei libri che gli vengono attribuiti”, per ordinare il sequestro e la distruzione di quasi tutta l'edizione. Uno dei pochi esemplari supertisti servì di base per la seconda edizione stampata a Rotterdam nel 1685. Dopo la sua pubblicazione, Simon ebbe molto controversie con teologi riformati e cattolici, in particolare con Jean le Clerc:  scritto anonimo in forma di dialogo: Sentimens de quelques  théologiens de Hollande sur l'Histoire critique du VT (1685).

 

Critica del NT

• Histoire critique du texte du Nouveau Testament, Rotterdam 1689.

• Histoire critique des  versions du Nouveau Testament, Rotterdam 1690.

Histoire critique des principaux commentaires du Nouveau Testament, Rotterdam 1693.

 

Simon, espulso dall'ordine degli Oratoriani, diventa parroco in  un  piccolo paese della Normandia e poi si ritira nel suo paese natale. a Dieppe  (1682). Vani furono i tentativi di rientrare nell'ordine e di riconciliarsi con Bossuet. In questo periodo continua il suo lavoro sui libri del NT,nonostante che nel 1694 la sua biblioteca andasse distrutta in un bombardamento di Dieppe da parte della flotta britannico-olandese. Curò la traduzione francese del NT, pubblicata nel principato indipendente di Dombes nel  1701. Tra i suoi manoscritti si conserva la traduzione del Pentateuco che faceva parte del progetto di traduzione di tutto l'AT.

 

Introduzione “critica” alla Bibbia (AT-NT)

Con il termine “critica” Simon intende fare una un'esposizione complessiva dei problemi connessi con l'Antico Testamento “che potesse riuscire utile al pubblico” . In realtà il primo volume è dedicato alla critica testuale.

 Simon sostiene che né il testo ebraico attuale, né la versione greca, come il manoscritto Vaticano della Settanta, concordano con quello originale, anzi contengono numerose varianti. Questa constatazione rende invalido il principio scritturistico globale dei Protestanti e dei Sociniani, che si basano sugli attuali esemplari della Bibbia, e invalida altresì la loro affermazione che la Bibbia “è chiara e in sé sufficiente a fondare da sola la verità della fede”. Non si tratta di un'affermazione fatta soltanto per cautelarsi. Simon si basa in particolare su testimonianze giudaiche e rabbiniche per dimostrare che nel testo dell'Antico Testamento sono entrate effettivamente numerose varianti, le quali tuttavia non sono falsificazioni intenzionali e non alterano sostanzialmente il testo, né intaccano l'autorità della Scrittura. Simon sostiene che la filologia è una scienza libera da pregiudizi e uno strumento  per avere un testo biblico affidabile.

 

L'origine del Pentateuco

Simon cerca di risolvere la difficoltà di continuare difendere la tradizionale attribuzione a Mosè dei primi cinque libri della Bibbia, anche se nel Pentateuco riscontrano materiali che non possono provenire da Mosè (come il racconto della sua morte in Dt 34). Egli fa una proposta originale: esistevano “scribi ufficiali” ( “profeti” poiché erano ispirati) i quali “hanno avuto la libertà di effettuare raccolte di atti antichi, che erano stati conservati negli archivi di stato, e di dare a questi documenti una nuova forma, aggiungendo o omettendo quello che sembrava loro opportuno”. La forma attuale del Pentateuco (e degli altri libri dell’Antico Testamento) sarebbe il risultato della tradizione e del loro lavoro: la la legge proviene da Mosè, mentre altri testi come il racconto della creazione contengono tradizioni ancora più antiche. Le ripetizioni sono dovute a documenti di questo genere elaborati parallelamente. In  questo modo Simon prelude alla critica letteraria delle fonti del Pentateuco.

 

Critica del NT

I vangeli mettono per iscritto della predicazione apostolica; il vangelo di Matteo, il primo, è stato scritto originariamente in aramaico; è il vangelo dei Nazarei, i primi cristiani di Gerusalemme. Il vangelo di Marco scritto in greco non è un'abbreviazione del vangelo di Matteo. Simon conosce il problema della conclusione marciana (Mc 16, 19-20), che manca negli antichi manoscritti. Nel vangelo di Giovanni, scritto a Efeso, la pericope della adultera (Gv 7,53-8, 11) manca nei manoscritti antichi.

Sull'origine della lettera agli Ebrei Simon condivide la posizione di Origene, che attribuisce la lettera a un discepolo di Paolo. Egli si pone la questione se la chiesa, dichiarando canonici gli scritti dell'Antico e del Nuovo Testamento, abbia dichiarato anche, automaticamente, che essi provengono dagli autori di cui portano il nome.

Simon tiene distinti e separate le osservazioni critiche sul testo della Bibbia dalla fede nel canone biblico, restando sempre fedele alla chiesa cattolica, nonostante i forti contrasti e persecuzioni.

 

Bibliografia-testi documenti

Baruch Spinoza, Trattato teologico-politico (Piccola Biblioteca Einaudi 358), Torino 1980. 2007.

Galileo Galilei, Lettera a Cristina di Lorena. Sull’uso della Bibbia nelle argomentazioni scientifiche, a cura di Franco Motta, intr. di Mauro Pesce, Marietti, Genova 2000.

Pesce M., L’ermeneutica biblica di Galileo e le due strade della teologia cristiana (Uomini e dottrine 43), Edizioni di Storia della Letteratura, Roma 2005.

Reventlow H.G., Storia della interpretazione biblica. Dall’Illuminismo fino al secolo XX. Vol. 4, Piemme, Casale Monferrato (AL) 2004 (or. ted. 2001).

 

 

 

7. Il metodo storico-critico (secoli XVIII-XX)

Nel clima culturale dell'illuminismo si sviluppano nuovi metodi esegetici ed ermeneutici orientati a ricostruire in modo “critico” la storia della formazione dei testi e dei libri della Bibbiai. Nei secoli XVIII-XIX i vari orientamenti degli studiosi del  testo biblico confluiscono  in quello che con un'espressione complessiva si chiama il metodo storico-critico.

 

a. La critica testuale

Nella ricostruzione critica del testo dell'AT, il pioniere e fondatore della critica testuale è Luigi Cappel (1585-1658), seguito dall'opera di Benjamin Kennicott (1718-1783) e di Giovanni Battista de Rossi (1742-1831).

Per il NT, dopo i lavori di Lorenzo Valla e di Erasmo, Johann Jacob Wettstein (1693-1754) dà avvio alla moderna critica testuale con l'edizione del NT nel 1751-1754, seguita dai lavori di Johann Jacob Griesbach (1745-1812), di Karl Lachmann (1793-1851), Constantin von Tischendorf (1815-1874) e del suo discepolo Gaspar René Gregory (1846-1917).

Nell'ambiente di lingua inglese nel 1881 appare “Il testo greco del NT” ad opera dei due studiosi inglesi: Brooke Foss Westcott (1825-1901) e John Anthony Hort (1828-1892). Quest'opera segna una pietra miliare nella storia della ricostruzione critica del testo del NT.

 

b. La critica letteraria della Bibbia

Si tratta della ipotesi delle “fonti”, soprattutto per l'AT e in particolare per il Pentateuco, dei “generi letterari”, delle “tradizioni” e infine della “redazione”. Un ruolo decisivo nell'origine e incremento di queste ipotesi e relativi metodi di ricerca viene dalle scoperte archeologiche ed epigrafiche che, a partire dagli inizi del XIX secolo, interessano tutta l'area dell'antico Vicino Oriente e dell'ambiente greco-romano: Egitto, Palestina, Siria, Mesopotamia, Anatolia (Turchia). In questo contesto si sviluppano gli studi di semitistica e orientalistica, che vanno ad aggiungersi a quelli del mondo giudaico e greco-romano. È comprensibile che in questo clima si privilegi il metodo comparativo dei mondi culturali e linguistici e quello della “storia della religioni”, che vede attivi gli stessi protagonisti delle diverse ipotesi e metodi.

 

c. Le fonti del Pentateuco degli altri libri dell'AT

Jean Astruc

J.Wellhausen

 

L'ipotesi delle fonti del Pentateuco, già proposta da Richard Simon, viene ripresa da Henning Bernard Witter (1683-1715) e da Jean Astruc (1684-1766) e applicata ai libri della Genesi e dell'Esodo. Chi definisce i criteri letterari e stilistici per individuare le fonti è Johann Gottfried Eichhorn (1752-1827) nella sua Introduzione all'Antico Testamento (1780-83). Sulla base delle tesi elaborate da K.H. Graf (1815-1869) e A. Kuenen (1828-1891), il semitista e storico Julius Wellhausen (1844-1918) propone per il Pentateuco o Esateuco - con l'inclusione del Libro di Giosuè - la teoria delle quattro fonti con questa successione cronologica: Jahvista (J), la più antica (secolo X a.C.), Elohista (E), del IX secolo a.C., il Deuteronomio (D) del VII secolo, e il Documento sacerdotale (P), del periodo postesilico.

La teoria delle quattro fonti proposta da J. Wellhausen, oltre agli oppositori che fanno capo alla scuola scandinava (Uppsala) - K.I. Engell (1906-1964), H.S. Nyberg (1889-1974), H. Bikerland (1904-) - trova anche tenaci sostenitori nell'ambiente di lingua tedesca con modifiche e integrazioni: E. Sellin (1867-1945), R. Smend (1887-1913), W. Eichrodt (1890-1978) e M. Noth (1902-1968). In particolare Rudolf Smend propone di sdoppiare la fonte Jahvista in J1 e J2, in due racconti paralleli attribuiti a due distinti autori. Su questa linea si colloca anche Otto Eissfeldt (1887-1978) che nel 1922 propone di suddividere la fonte Jahvista in una fonte L (Laienquelle del IX secolo), e una fonte J più tardiva.

 

 

 

Martin Noth

Nonostante questa frammentazione degli strati-fonti del Pentateuco la teoria di J. Wellhausen fino alla seconda guerra mondiale viene sostanzialmente accolta negli studi monografici, nelle introduzioni e commentari. Ma a partire dagli anni sessanta-setttanta è progressivamente abbandonata e sostituita con altre ipotesi di metodologia esegetica: Überlieferungsgeschichte, “storia della tradizione”, e Redaktionsgeschichte, “storia della redazione”.

Invece godono di maggior consenso le ipotesi relative alla formazione dei testi profetici e sapienziali combinando insieme la teoria delle fonti con quella della redazione e delle successive riletture nel postesilio e all'epoca persiana. Nel caso del Libro di Isaia si accoglie, sia pure con qualche riserva, l'ipotesi di una prima raccolta di oracoli risalenti al profeta dell'ottavo secolo (Isaia 1-39), seguita dalle raccolte del Deuteroisaia (Is 40-55) e Tritoisaia (Is 56-66), attribuite all'opera di un profeta anonimo del periodo esilico e postesilico. Anche per libro del profeta Geremia Sigmund Mowinckel (1884-1965), seguito con correzioni e integrazioni da altri autori, distingue quattro livelli: gli oracoli autentici in versi (fonte A), i racconti in prosa attribuiti a Baruc (fonte B), i discorsi in prosa attribuiti alla scuola deuteronomistica (fonte C) e le promesse (fonte D). Lo stesso vale per il libro di Zaccaria, in cui si riconoscono due livelli compositivi: cc. 1-8 e cc. 9-14. Nel libro di Giobbe si riconoscono le tensioni esistenti tra la parte in prosa del prologo e dell'epilogo e il corpo poetico centrale attualmente unite in un unico libro. Anche il c. 28 e il discorso di Elihu nei cc. 32-37 interrompono il tessuto letterario del libro. La constatazione di queste tensioni giustifica l'ipotesi della presenza di diversi strati e livelli combinati nella edizione finale del libro.

 

d. La critica delle  fonti dei libri del  NT - ”La questione sinottica”

La critica delle fonti del Nuovo Testamento in un primo tempo si limita ai Vangeli e spesso coincide con la “questione sinottica”. Chi inaugura di questo indirizzo nello studio dei Vangeli è Johann Jacob Griesbach, che nel 1776 pubblica la prima edizione sinottica dei Vangeli.

Con l'espressione “questione  sinottica” si indicano sia gli interrogativi posti dal fenomeno delle convergenze e divergenze dei primi tre Vangeli canonici, sia le varie ipotesi proposte per interpretare e spiegare il fatto sinottico. Tra 1905 e il 1911 Julius Wellhausen propone l'ipotesi dell'esistenza di un vangelo aramaico del quale l'attuale vangelo greco di Marco sarebbe la traduzione. Da questo Marco dipenderebbero i vangeli di Matteo e di Luca. Nel 1907 Theodor Zahn (1838-1933) riprende un vecchia ipotesi di J.G. Eichorn ponendo alla base degli attuali vangeli di Matteo e Marco - Luca dipende da Marco - il vangelo aramaico di Matteo. Questa ipotesi, leggermente modificata e assunta da Marie-Joseph Lagrange (1855-1938), riscuote un grande consenso nell'ambiente cattolico. L'esegeta francese presuppone l'esistenza di Matteo aramaico, dal quale dipende l'attuale vangelo greco di Matteo. Invece il vangelo di Marco dipende sia da Matteo greco sia da una ipotetica altra fonte antica. Il vangelo di Luca sta sotto l'influsso di Marco e di Matteo.

 

Marie-Joseph Lagrange

 

La teoria di  M.-J. Lagrange sulla questione  sinottica viene in parte ripresa da Léon Vaganay che vi dedica molti anni di studio. Anch'egli suppone l'esistenza di un Matteo aramaico tradotto in greco e una fonte greca che raccoglie il materiale della sezione lucana (Lc 5,1-18,14) e circa 145 di versetti di Matteo. Questo quadro delle fonti scritte è integrato con l'ipotesi di una tradizione orale di origine petrina. Gli attuali vangeli sinottici si troverebbero alla confluenza di queste due fonti scritte e della fonte orale riflessa soprattutto nel vangelo di Marco.

A partire dagli anni sessanta del XX secolo Marie-Émile Boismard riprende l'ipotesi di J.G. Eichhorn della esistenza di documenti molteplici per spiegare l'origine dei vangeli sinottici. Egli ricostruisce la storia della formazione dei vangeli in tre fasi: I. l'esistenza di più documenti primitivi: uno di origine palestinese (A), un secondo che è lo sviluppo del primo nelle comunità entico-cristiane (B), e un terzo pure di origine palestinese (C); II. la sintesi di questi documenti da parte di Matteo-intermedio, Marco-intermedio e proto-Luca; III. la composizione degli attuali tre vangeli con una fitta rete di influssi tra i testi nelle diverse fasi. M.-É. Boismard immagina che il vangelo di Marco non dipenda solo da Marco-intermedio, ma anche da Matteo-intermedio e dal proto-Luca, e tramite loro dipenda dai quattro documenti primitivi.

 

 

 

Marie-Émile Boismard

Dalla metà degli anni sessanta si afferma l'ipotesi chiamata “neogriesbachiana”, perchè si ispira in parte all'ipotesi fatta dal pioniere della questione sinottica, Johann Jacob Griesbach (1745-1812). Si tratta dell'ipotesi dei “due vangeli”, perché presuppone la dipendenza del vangelo di Marco da Matteo e Luca. Se ne fa promotore, assieme ad altri, William Reuben Farmer con uno studio del 1964 dedicato al problema sinottico e con altri contributi negli anni successivi. Attorno a Farmer si coagula un certo consenso soprattutto nell'ambiente nordamericano e nell'area di lingua inglese. Questa ipotesi tiene conto della tradizione della chiesa dei primi secoli che afferma senza esitazioni la priorità del vangelo di Matteo, il quale rappresenterebbe la tradizione della chiesa di Gerusalemme, mentre quello lucano raccoglierebbe quella delle chiese di origine paolina. Il vangelo di Marco, che dipende dai due suddetti Vangeli, per favorire l'unità della chiesa nella crisi delle persecuzioni, fonde insieme le due tradizioni. All'inIzio degli anni ottanta J.B. Ochard, nella sua sinossi, sostiene l'ipotesi di ispirazione griesbachiana della dipendenza di Marco da Matteo e Luca, ammettendo che nel processo redazionale dei vangeli, soprattutto in quello marciano, si fa sentire l'influsso della tradizione orale petrina.

 

e. La teoria delle due fonti: la fonte Q

Tra le ipotesi elaborate per spiegare il fenomeno sinottico è la “teorica delle due fonti”. Le convergenze tra i vangeli di Matteo e di Luca, indipendenti l'uno dall'altro, si spiegano con la loro dipendenza dal vangelo di Marco e da un'altra fonte o documento scritto designato dalla lettera “Q”, dal tedesco “Quelle”, fonte (P. Wernle 1899). La paternità di questa teoria può essere attribuita a Christian Gottlob Wilke e a Christian Hermann Weisse che nel 1838, partendo dalla priorità del vangelo di Marco, elaborano l'ipotesi di una fonte dei logia, chiamata in seguito semplicemente la “fonte” (Quelle). Nell'ambiente di lingua tedesca il sostenitore della teoria delle due fonti è Heinrich Julius Holtzmann (1832-1910), seguito da Paul Vernle (1872-1939) e da Adolf Harnack (1851-1930). Verso la fine del XIX  e inizio del XX secolo la teoria delle due fonti passa nel mondo anglosassone attraverso gli studi William Sanday (1843-1920),  seguito Edwin A. Abboth (1838-1926) e da Burnett Hillman Streeter (1874-1937). Nell'ambiente di lingua francese - scuola di Gerusalemme - la teoria delle due fonti viene messa in discussione, soprattutto si contesta la priorità del vangelo di Marco in quanto l'autore mostra di conoscere sia gli Atti degli apostoli sia le lettere di Paolo. Anche attorno alla fonte “Q” nella seconda metà del secolo XX si sviluppa un ampio dibattito circa la sua consistenza, definizione e composizione. Alcuni vorrebbero chiamarla “Vangelo Q”, altri semplicemente “Fonte delle sentenze o logia”. Accanto a chi ne sostiene con forza l'esistenza, c'è chi la mette in dubbio e la contesta radicalmente.

Dagli anni sessanta nell'ambiente di lingua tedesca compaiono diverse pubblicazioni dedicate allo studio della formazione e dei contenuti della fonte dei logia (Q). Nelle ultime decadi del XX secolo, a livello internazionale, si sviluppa uno studio intenso e si promuovono gruppi di lavoro per ricostruire e curare l'edizione critica della fonte Q. Il progetto internazionale per l'edizione critica di Q riunisce un gruppo di oltre una quarantina di studiosi preparano la pubblicazione di quattro volumi annuali di circa centoventi pagine l'uno, dove si presenta la bibliografia degli ultimi due secoli e la ricostruzione del testo critico greco delle parole di Gesù nel documento Q. Tra gli studiosi che si distinguono in questo campo sono Friedrich Neyrinck di Lovanio e John S. Kloppenborg, il primo con alcune riserve critiche sulla ricostruzione e sul ruolo della fonte Q per spiegare l'origine dei vangeli e il secondo più favorevole e impegnato nel definire la storia e il profilo letterario della fonte.

 

f. Le fonti degli Atti degli apostoli

 

Martin Dibelius

 

 

J. Jeremias

 

 

Rudolf Bultmann

 

Per ricostruire la storia della formazione del secondo volume dell'opera lucana si ricorre all'ipotesi di più fonti che sarebbero state utilizzate dall'autore. Per i primi capitoli degli Atti si ipotizza l'uso di una fonte gerosolimitana-cesariense (cc. 3-5) una fonte antiochena (cc. 6.11.12-13)10. Per i viaggi missionari di Paolo, dove il racconto passa improvvisamente alla prima persona plurale - “sezioni-noi” - Martin Dibelius (1923.1947.1948) fa l'ipotesi dell'uso di un “itinerario” di viaggio”. La teoria delle fonti scritte alla base del libro degli Atti  è stata ripresa Joachim Jeremias (1937), da Rudolf Bultmann (1959) e sotto certi aspetti anche da Pierre Benoit (1906-1987). L'autore che ha dato il maggior contributo per lo studio degli Atti degli apostoli anche sotto questo profilo è Jacques Dupont (1915-1998), che, a partire dagli anni cinquanta ha dedicato diversi studi e monografie al secondo libro di Luca11. La questione delle fonti del libro degli Atti, connessa con quella della sua formazione nel contesto delle origini cristiane, è rilanciata da alcuni studiosi dell'École Biblique di Gerusalemme. A partire dagli anni ottanta, con la pubblicazione dei lavori di M.-É. Boismard e Lamouille, si rivaluta come primitivo il testo occidentale o alessandrino degli Atti. Questo orientamento dell'Ecole Biblique non trova un grande consenso tra gli studiosi e commentatori degli Atti che in genere seguono il metodo della “storia della redazione” e in anni più recenti quello della narratologia e dell'analisi retorica.

g. Le fonti del Quarto Vangelo

Julius Wellhausen, in uno studio sul vangelo di Giovanni del 1907, ripreso nel commento dell'anno successivo, suppone che esso sia il prodotto di un processo letterario, a partire da uno scritto di base. L'ipotesi di un vangelo giovanneo primitivo, composto sulla base di fonti-tradizioni, integrato con aggiunte da parte di un redattore è fatta anche da E. Schwartz (1907-1908), da Friedrich Spitta (1910) e da E. Hirsch (1936). Nel seguito della storia della ricerca sulla formazione del Quarto Vangelo si fa ricorso all'integrazione tra ipotesi delle fonti e lavoro redazionale

Nel suo commento del 1941 Rudolf Bultmann ipotizza che vi siano tre fonti alla base del vangelo giovanneo: la “fonte dei segni” o miracoli di origine palestinese - Semeia-Quelle - la “fonte dei discorsi” di matrice gnostico-ellenistica - Offenbarungsreden Quelle - e il racconto della passione, Passionsbericht. L'ipotesi delle fonti di R. Bultmann, soprattutto quella dei “discorsi di rivelazione”, non trova molta accoglienza, nonostante il tentativo di H. Becker (1956) di ampliare e integrare la documentazione relativa alle fonti gnostiche. 

L'ipotesi bultmaniana della “fonte dei segni” trova un certo consenso negli ambienti di lingua inglese grazie ai contributi di R.T. Fortna (1970.1988), di W. Nicol (1972) e di H.H. Teeple (1974). Robert T. Fortna individua nell'attuale testo giovanneo un “vangelo” costituito da un'introduzione, da una “fonte dei segni” (sette) - Signs Gospel - e dalla fonte della passione (Passion Source). Questo vangelo primitivo dell'ambiente giudeo-cristiano può essere ricostruito nelle sue linee essenziali. Sulla base dell'ipotesi delle fonti H.H. Teeple ricostruisce la storia della formazione del vangelo in cinque fasi: 1. una fonte scritta dei segni (cinque); 2. una fonte scritta dei discorsi di matrice semi-gnostica; 3. una fonte della passione; 4. un editore che rielabora le fonti; 5. un redattore che revisiona il lavoro precedente. Negli ambiente di lingua tedesca trova adesioni la fonte dei segni e un racconto primitivo della passione affine a quello sinottico: S. Schulz (1972), Jügen Becker (1979), Joachim Gnilka (1985). Anche per l'origine e la formazione del quarto vangelo i due studiosi dell'Ecole Biblique  M.-É. Boismard - A. Lamouille propongono un'ipotesi di quattro strati o fasi ad opera di autori all'interno della “scuola giovannea”.

 

h. I  generi letterari -  AT

Il pioniere della ricerca sui generi letterari nell'AT è Hermann Gunkel (1862-1932), che con i suoi studi sulla Genesi, i Salmi e i Profeti apre la strada del metodo per riconoscere e classificare i generi letterari biblici collocandoli nel loro contesto vitale o storico (Sitz im Leben) di carattere economico e socio-culturale. Nei testi biblici presi in esame egli individua il racconto epico (in tedesco Sage), il mito, la favola, la leggenda eziologica, che spiega l'origine e il significato di un rito, il nome di un luogo, la novella e l'aneddoto. H.J. Gunkel parte dal presupposto che i testi dell'AT, prima di essere documenti scritti, sono il riflesso di forme pre-letterarie trasmesse oralmente a livello popolare. Sulla scia di J.G. Herder il Gunkel presta attenzione all'aspetto estetico dei testi biblici intrecciato con la loro dimensione religiosa. Il suo studio dei Salmi dà avvio alla ricerca sulla poetica biblica ebraica. Nella sua introduzione ai Salmi egli propone i criteri per la loro classificazione partendo dal presupposto del loro Sitz im Leben cultuale: Salmi di ringraziamento, di lode, di lamentazione. ecc. Il confronto con le forme letterarie presenti nei testi poetici dell'antico Vicino Oriente conferma la sua intuizione sulla lunga storia di formazione dei Salmi biblici. Al seguito del H. Gunkel si collocano altri studiosi dell'Antico Testamento come Hugo Gressmann (1877-1927), per l'AT e Paul Wendland (1864-1915), per il NT, che si collega alla scuola della “storia delle religioni”. Hugo Gressmann accentua il confronto dei testi biblici con i documenti dell'antico Vicino Oriente, applicando il metodo di studio dell'analisi delle forme ai testi storici dell'AT. Su questo versante si innesta la metodologia della “storia delle tradizione” riferita ai testi narrativi della Bibbia.

Il metodo dei generi letterari per l'AT viene integrato con quello denominato delle “tradizioni”, in cui i contributi più recenti sono quelli di Gerhard von Rad (1901-1971) e di Martin Noth (1902-1968). Si può segnalare anche il contributo dato alla ricerca da parte della scuola scandinava, che fin dall'inizio assume una posizione critica nei confronti dell'ipotesi delle fonti e pone l'accento sul ruolo della tradizione sia orale sia letteraria: Sigmund Mowinckel (1884-1965) e Ivan Engnell (1906-1964).

Hermann Gunkel Gerhard von Rad Ernst Kaesemann

 

i. La “storia delle forme” (Formgeschichte) dei Vangeli

L'ipotesi e il metodo chiamato “storia delle forme”, in rapporto allo studio dei vangeli, dipendono dalla ricerca sui generi letterari. Avviato dalle ricerche di Paul Wendland, il metodo “storia delle forme” (Formgeschichte) riceve una elaborazione e applicazione sistematica nei lavori di Karl Ludwig Schmidt (1891-1956), Martin Dibelius (1883-1947), Rudolf Bultmann (1884-1976).

Lo  scopo della Formgeschichte applicata ai primi tre vangeli è di ricostruire la storia della formazione dei vangeli individuando le piccole unità letterarie autonome - “forme” - che stanno alla loro origine. Nel 1919 Karl Ludwig Schmidt pubblica lo studio dal titolo: Der Rahmen der Geschichte Jesu, “La cornice della storia di Gesù”, dove mostra che gli attuali vangeli sono la raccolta di piccole unità che circolavano nelle prime comunità. Escluso il racconto della passione, che ha una certa continuità narrativa, le pericopi evangeliche sono accostate dentro una cornice che riflette la prospettiva dell'evangelista e risponde agli interessi vitali - missionari e pastorali - della comunità cristiana.

Nello stesso anno 1919 Martin Dibelius (l883-l947) pubblica l'opera che dà il nome al metodo: Die Formgeschichte des Evangeliums.  L'impulso a raccogliere e organizzare le piccole unità letterarie viene dalle esigenze vitali della prima chiesa. Nel 1921 vede la luce il volume di Rudolf Bultmann dal titolo: Die Geschichte der Synoptischen Tradition. Egli non si limita a classificare le piccole unità letterarie sorte per rispondere alla situazione vitale delle prime comunità cristiane, ma ne ricostuisce la storia sullo sfondo dell'ambiente giudaico ed ellenistico. Circa il valore storico del materiale conservato nei vangeli il giudizio di R. Bultmann dipende dalla sua prospettiva ermeneutica già presente nella breve storia di Gesù scritta nel 1926 e esposta in modo programmatico nel “manifesto” del 1941 dal titolo: Neues Testament und Mythologie. Tra il kerygma postpasquale e l'evento storico di Gesù c'è uno iato che l'indagine storico-critica dei testi mette in evidenza. Non resta che l'interpretazione esistenziale del linguaggio mitico del NT, aprendosi a quella comprensione dell'esistenza che viene sollecitata dai testi neotestamentari di Paolo e di Giovanni.

Non tutti i cultori della Formgeschichte seguono la linea radicale di R. Bultmann. Tra i suoi discepoli alcuni tentano di superare la divaricazione che separa “il Gesù della storia dal Cristo biblico della fede” secondo una formula ispirata al titolo del volume di Martin Kähler (1892): Der sogennante historische Jesus und der geschichtliche biblische Christus. Negli anni cinquanta, a seguito delle posizioni del maestro di Marburg, si sviluppa nell'area di lingua tedesca un ampio dibattito che vede coinvolti alcuni tra i maggiori rappresentanti dell'esegesi e teoologia biblica.

Nel 1953 in un articolo intitolato: “Il problema del Gesù storico” Ernst Käsemann, docente a Tubinga, sostiene la necessità e la possibilità di stabilire una connessione tra il Gesù della storia e il Cristo della fede per evitare la deriva di una cristologia docetica. In altre parole esiste una reale continuità tra il kerygma postpasquale della chiesa e le parole di Gesù attestate nei vangeli. Nel 1956 Ernst Fuchs, docente a Marburg, pubblica un articolo sulla “Ricerca del Gesù storico”, dove propone la metodologia per ricostruire l'identità storica e la prassi di Gesù come inviato escatologico. Nello stesso anno esce il volume “Gesù di Nazaret” di Günther Bornkamm. dove si traccia un bilancio di quarant'anni di ricerca della storicità del messaggio e della figura di Gesù. L'autorità di Gesù, connessa con l'immediatezza del suo rapporto con Dio, è storicamente fondata nei testi evangelici. Anche Hans Conzelmann, in un contributo del 1959, sostiene la legittimità della ricerca storica dell'annuncio di Gesù proclamatore del regno di Dio.

Nell'ambiente di lingua inglese Vicent Taylor (1887-1968), nel volume intitolato The Formation of the Gospel Tradition del 1933, seguendo il metodo della storia delle forme conclude che la tradizione delle parole e delle azioni di Gesù, consegnata nei testi vangeli, è storicamente attendibile. Egli consolida e conferma la sua posizione moderata sia nel commentario al Vangelo di Marco (1952), sia nella trilogia dedicata alla cristologia neotesamentaria (1953.1954.1958). Nella stessa linea si colloca l'opera di R.H. Lightfoot (1883-19953), anche se egli tende a considerare il vangelo di Marco una interpretazione teologica più che una presentazione storico-biografica di Gesù. Analogamente Charles Harold Dodd (1884-1973), con i suoi studi sulla storia della predicazione apostolica, sulle parabole di Gesù e sulla tradizione e interpretazione del vangelo di Giovanni, ricostruisce il contesto storico e vitale dei testi evangelici e del messaggio di Gesù.

 

l. Storia della tradizione (Überlieferungsgeschichte)

Il metodo dei generi letterari e della storia delle forme viene integrato con quello denominato Überlieferungsgeschichte, “Storia della tradizione” o Traditionshistorische Schule, “Scuola della storia della tradizione”. In questo ambito di ricerca sono notevoli i contributi della “Scuola scandinava”, che fin dall'inizio assume una posizione critica nei confronti della teoria delle fonti e invece pone l'accento sul ruolo della tradizione sia orale sia letteraria. Come reazione alla critica letteraria della Formgeschichte e della Überlieferungsgeschichte, che si basano sul principio dell'evoluzione della tradizione orale, la “scuola scandinava” insiste sulla fedeltà (storica) della trasmissione orale in una cultura dove il ruolo del testo scritto è marginale. Perciò si tende a considerare attendibili, sul piano storico, anche testi scritti molto tempo dopo gli avvenimenti. Sotto questo profilo, nell'ambito degli studi veterotestamentari, si segnalano i lavori di Aagen Bentzen (1894-1953), Sigmund Mowinckel (1884-1965), Karl Ivan Engnell (1906-1964) e Henrick Samuel Nyberg (1889-1974). Anche nella ricerca neotestamentaria gli studiosi dell'area scandinava si contrappongono alle posizioni riduttive dei rappresentanti della Formgeschchte sostenendo l'attendibilità della tradizione orale che sta alla base dei vangeli. In questo caso vanno ricordati gli studi Harald Riesenfeld (1957) e di Birger Gerhardsson (1961).

Nell'area di lingua tedesca per l'AT i contributi più recenti sono quelli di Gerhard von Rad (1901-1971) e di Martin Noth (1902-1968). Dal 1938 G. von Rad elabora una sintesi della storia e della teologia biblica sulla base delle tradizioni che si coagulano attorno ad alcuni nuclei fondamentali della storia della salvezza: l'esodo, la conquista della terra e l'alleanza. La celebrazione cultuale degli eventi salvifici favorisce la formazione e la trasmissione delle tradizioni fondative. Dal 1948 i lavori di M. Noth si concentrano su quello che chiama il Tetrateuco, perché il Deuteronomio fa parte della storia deuteronomistica (Dt-2Re). Egli ricostruisce la storia delle tradizioni che stanno alla base dei testi biblici. Per il Noth la storia di Israele, secondo il modello greco della anfizionia, fa perno sulla federazione delle dodici tribù di Israele. Attorno ai temi originariamente indipendenti - uscita dall'Egitto, soggiorno nel deserto e teofania del Sinai, entrata nel paese di  Canaan - menzionati nei “credo” israelitici più antichi, si sviluppa il materiale che forma il Tetrateuco.

 

m. Storia della redazione (Redaktionsgeschichte)

Di fronte al rischio della Formgeschichte di ridurre i testi a un coacervo di frammenti e gli autori biblici a semplici compilatori di testi o tradizioni, verso la fine degli anni cinquanta prende piede la metodologia esegetica chiamata Redaktionsgeschichte, “Storia della redazione”. Con questo metodo si tenta di ricostruire il processo e le varie fasi della produzione di un testo. Il termine “redazione”, che indica la nuova prospettiva, fa riferimento alla forma finale del testo o del libro biblico preso in considerazione. In questo caso si pone l'accento sul lavoro - fonti, intenzioni, metodo e risultato - di chi ha dato al testo la sua fisionomia attuale.

La storia della redazione è complementare alla storia delle forme perché parte dallo stesso presupposto teorico: il testo attuale si spiega in funzione del contesto o situazione vitale in cui esso è nato o è stato prodotto. Però la ricostruzione di questo Sitz im Leben non si limita alla comunità in cui si è formata la tradizione delle forme, ma si estende anche alla comunità in cui il testo o libro ha assunto la forma definitiva. Si tratta di quella situazione vitale in cui vive e opera il redattore-autore del testo o del libro, inserito nell'ambiente di una comunità e in relazione dinamica con i destinatari della sua opera. Ambedue, autore e destinatari, sono condizionati dal contesto linguistico, sociale e culturale dell'ambiente di cui fanno parte. Perciò la storia della redazione cerca di leggere e comprendere il testo sulla base della sua forma attuale. Attraverso l'analisi lessicale e stilistico-letteraria, si tende a ricostruire lo stile, gli interessi vitali e la prospettiva teologica dell'autore o redattore.

Spesso il lavoro dell'autore-redattore consiste nel fare aggiunte, integrazioni in forma di glossa esplicativa o correttiva di un fatto o di una parola; introduce modifiche teologiche, fa spostamenti di parole e di frasi; omette o riduce il testo utilizzato come fonte. L'attività redazionale si inserisce in modo più rilevante nelle introduzioni e conclusioni di un libro; in apertura e alla fine delle sezioni o unità minori per stabilire la connessione letteraria tra elementi originariamente autonomi o per collocarli nella prospettiva o disegno teologico complessivo del redattore. L'analisi redazionale dei testi o libri biblici dà risultati più sicuri quando è definita con una certa probabilità la fonte - testo o documento originario - , oppure quando si può fare un confronto con testi paralleli come nel caso dei libri dei Re e delle Cronache per l'AT e dei primi tre vangeli per il NT.

 

n. La storia della redazione (Redaktionsgeschichte) dei libri dell'AT

Rudolf Smend e Frank Moore Cross propongono più fasi redazionali di matrice deuteronomistica in rapporto con la storia postesilica di Israele. Martin Noth ricostruisce la redazione deuteronomistica dell'insieme di testi che vanno dal libro di Giosuè al secondo Libro dei Re (1948). Analogamente anche i libri profeti sono letti con il metodo della Redaktionsgeschichte, senza arrivare a risultati sicuri e condivisi anche per la difficoltà che deriva dalle riletture continue dei testi profetici, distribuite in un lungo arco di tempo.

A partire dagli anni settanta, in connessione anche con la crisi della teoria documentaria, inizia lo studio del Pentateuco dal punto di vista della Redaktionsgeschichte. I testi della tradizione elohista (E) sarebbero una rilettura di quelli della tradizione Jahwista (J), e i testi sacerdotali (P) farebbero una rilettura delle raccolte di leggi e narrazioni preesistenti. Lo stesso procedimento viene applicato ai libri storici della Bibbia. Nel 1971 Gottfried Seitz pubblica uno studio sulla storia della redazione del Deuteronomio. Nel 1977 escono quattro pubblicazioni dedicate rispettivamente alla redazione del Penteuco (Peter Weimar), a quella dell'Esodo (Henri Cazelles), dei libri profetici (W. Eugene March) e al libro di Isaia (Hermann Barth). Lo studio redazionale dei libri storici e profetici continua nelle pubblicazioni monografiche e nei commentari degli anni ottanta e novanta.

 

o. La storia della redazione (Redaktionsgeschichte) dei vangeli sinottici

La “Storia della redazione” trova un terreno di applicazione privilegiato nei vangeli sinottici. In effetti la denominazione di questo orientamento esegetico viene dall'opera di Willi Marxsen, Der Evangelist Markus. Studien zur Redaktionsgeschichte des Evangeliums, Göttingen 1956. Due anni prima Hans Conzelmann pubblica il suo lavoro sulla prospettiva redazionale di Luca, Die Mitte der Zeit. Zut Theologie des Lukas, Tübingen 1954. A questi lavori fa seguito quello di Wolfang Trilling sul vangelo di Matteo: Das wahre  Israel. Studien zur Theologie des Matthäusevangeliums, München 1959. A partire dagli anni sessanta si susseguono nuovi studi sui singoli vangeli che integrano e correggono le letture redazionali fatte dai pionieri. In particolare si precisa il rapporto fra la tradizione - fonte - e l'intervento del redattore che assume e interpreta i dati tradizionali nella sua prospettiva. Si esaminano in modo sistematico i procedimenti redazionali a livello stilistico-letterario: le correzioni e i cambiamenti geografico-temporali, le modifiche di espressioni, le trasposizioni di brani, le variazioni dei testi biblici citati; si prendono in considerazione le aggiunte, le integrazioni, le precisazioni, le abbreviazioni e le omissioni di parole, frasi; si studia la connessione letteraria di sezioni isolate.

 

p. La storia della redazione (Redaktionsgeschichte) del Vangelo di Giovanni

Nel suo commento del 1941 R. Bultmann, quando ricostruisce la storia della formazione del Vangelo di Giovanni sulla base di più fonti, fa intervenire l'evangelista e alla fine un “redattore ecclesiastico”. Mentre l'evangelista divide e integra la fonte dei segni, corregge e interpreta in chiave cristologica i discorsi di rivelazione, incentrati sul mito gnostico mandaico del redentore celeste, il cosiddetto redattore è in realtà un “glossatore” che aggiunge i testi dell'escatologia apocalittica e quelli sacramentali. Jürgen Becker (1979) adotta la stessa impostazione riducendo ad una le fonti utilizzate e rimarcando il ruolo dell'evangelista e del redattore ecclesiatico. Altri autori dell'ambiente tedesco - W. Wilckens (1958), E. Haenchen, commento pubblicato postumo (1980) - preferiscono parlare di Grundevangelium, “vangelo primitivo”,  o Vorlage, nel quale il redattore finale inserisce i discorsi e altro materiale.

Nell'area di lingua anglosassone si immagina la storia della formazione del vangelo giovanneo a più strati o varie fasi: quella dell'evangelista e quella del redattore o revisore (H. Strachan, 1915/1916; G.H.C. McGregor, 1928). Su questa linea si colloca anche l'ipotesi di Raymond E. Brown (1966.1970) elaborata nel suo commento e ripresa nella monografia dedicata alla “Comunità del discepolo prediletto” (1979). Egli distribuisce la storia di formazione del vangelo giovanneo in cinque fasi: I. una raccolta di gesti e parole di Gesù, affine a quella sinottica; II. selezione e rielaborazione del materiale nella “scuola” giovannea in un contesto liturgico e missionario; III. prima edizione del vangelo in greco da parte dell'evangelista; IV. seconda edizione del vangelo dello stesso autore per rispondere alle obiezioni dei discepoli di Giovanni Battista, dei giudeo-cristiani e degli ebrei; V. ultima edizione del vangelo da parte di un discepolo dell'evangelista con l'aggiunta di altro materiale. In alcune  di queste ipotesi si fa riferimento alla “comunità” o “scuola” giovannea come ambiente della redazione finale del vangelo. Questa idea sarà particolarmente studiata e sviluppata negli studi giovannei di lingua anglosassone nelle ultime decadi del XX secolo, con i contributi di J. Louis Martyn e di  R. Aland  Culpepper.

 

 

Bibliografia

Cazelles H., L'exégèse scientifique au XXe siècle: I'Ancien Testament, in Savart C. - Aletti J.N. (edd.), Le monde contemporaine de la Bible (Bible de Tous les Temps 8), Paris, 1985, 441-471

Fusco  V., Un secolo  di metodo storico nell'esegesi cattolica (1893-1993), in G. Segalla (ed.), Cento anni di studi biblici 1893-1993. L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, StPat 41/2 (1994),37-94

Guillemette P. - Brisebois M., Introduzione ai metodi storico-critici (Studi e ricerche bibliche), Borla, Roma 1990 (orig. francese 1987)

Kümmel W.G., L'exégèse scientifique au XXe siècle: le Nouveau Testament, in Savart C. - Aletti J.N. (edd.), Le monde contemporaine de la Bible, 473-515

H.J. Kraus, Geschichte der historisch-kririschen Erforschung des Alten Testament, Neurkirchen 21969

Lagrange M.-J., La methode historique, surtout à propos de l'Ancien Testament, Études Biblique, Paris 1903

Mainville O., La Bible au creuset de l'histoire. Guide d'exégèse historico-critique (Sciences bibliques 1), Médiaspaul, Montreal - Paris 1995

Murphy O’Connor J. (ed.), Cent'anni di esegesi. II. Il Nuovo Testamento. L'école Biblique di Gerusalemme (Suppplementi alla RivB 26), Bologna, 1992

Prior J.G., The Historical Critical Method in Catholic Exegesis (Tesi Gregoriana, Serie Teologia 50), Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma 1999

Söding T., Wege der Schriftauslegung. Methodebuch zum Neuen Testament, Herder, Freiburg i.Br. 1998

Soulen R.N - Soulen R.K., Handbook of Biblical Criticism, Westminster John Knox, Louisville (KY) - London 32001

Vesco J.L. (ed,), Cent'anni di esegesi. I. L'Antico Testamento. L'école Biblique di Gerusalemme (Supplementi alla RivB 25), Bologna 1992

 

 

 

8. Bibbia e magistero della chiesa CATTOLICA.

Dalla Providentissimus Deus (1893) alla Dei Verbum (1965)

 

Di fronte ai nuovi metodi di analisi della Bibbia, tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo, nell'ambiente cattolico si sviluppa un dibattito intenso in cui interviene il magistero della chiesa in particolare sulla ispirazione e la verità storica della Bibbia. Esso è innescato dalle nuove acquisizioni delle scienze storiche, geografiche, e antroplogiche con le relative  ipotesi.

• Charles Darwin (1809-1882): Origine della specie (1859)

• verità della Bibbia e verità storica: la “Questione biblica” e l'enciclica di Leone XIII

• la crisi modernista, che vede implicato in prima persona l'esegeta francese Alfred Loisy (1857-1940)

• tentativo da parte cattolica di accogliere la sfida del mondo moderno e di applicare alla Bibbia i metodi elaborati nel contesto dell'illuminismo

• 1870: Concilio Vaticano I, Costituzione Dei Filius, dove, si afferma che, in forza dell'ispirazione, si deve escludere dalla Bibbia ogni errore

 

a. Leone XIII (Gioachino Pecci - 1878-1903)

 

• 1893: con la prima enciclica biblica Providentissimus Deus, prende posizione e delinea l'orientamento della ricerca biblica cattolica

• 1902: con la  lettera apostolica Vigilantiae del 30 ottobre 1902, crea la  Pontificia  Commissione Biblica (PCB), con lo scopo di “promuovere gli studi  di sacra  Scrittura”

La  Commissione Biblica, dà attuazione alle indicazioni dell'enciclica Providentissimus Deus. Tra l'enciclica e l'istituzione della suddetta  Commissione   biblica nel  mese di  gennaio 1897 ci sono due interventi: un  decreto dell'Inquisizione sull'autenticità del  “comma giovanneo” (1Gv  5,7)  e la costituzione  apostolica  Officiorum ac munerum, circa l'uso di edizioni acattoliche della sacra Scrittura e delle versioni in lingua volgare. In relazione al decreto sull'autenticità del comma giovanneo una nota del mese di giugno dello stesso anno precisa che esso non ha l'intenzione di “impedire agli scrittori cattolici di studiare più a fondo il problema, purché si dichiarino pronti a  sottomettersi al giudizio  della chiesa, a cui Gesù Cristo ha affidato il compito  non solo di interpretare le  sacre Scritture, ma anche di custodirle fedelmente” (EB 38,136).

 

Dalla Lettera istitutiva  della  stessa Commissione da parte di Leone XIII (1902):  promozione degli studi  biblici e  tutela della verità cristiana.

“Una Commissione di esperti, che si assumano il compito di curare con  ogni mezzo e  di far sì  che la parola di Dio abbia quella ricerca  scientifica richiesta dai  tempi e venga studiata in profondità soprattutto dai  cattolici,  e sia  preservata  integra, non solo da qualsiasi errore, ma anche da ogni opinione sconsiderata” (EB 40,139).

•  promuovere studi  filologici e conoscenza delle lingue orientali  antiche  per sottrarre  agli avversari le  armi contro la verità delle  sacre Scritture.

• sostenere “integralmente l'autorità  della Scrittura” contro  le “tesi  degli eterodossi”  e  in armonia  con  il magistero della chiesa che Dio ha stabilito come “guida e maestra”

• ricorso al “metodo  critico”, considerato  “molto utile per comprendere più a fondo il  pensiero degli agiografi”, gli studiosi cattolici devono  prestare attenzione a  non assorbire  dalla familiarità con  gli  autori  non  cattolici  un  modo  di  “giudicare arbitrario” (EB 40,142).

• terzo compito  della Commissione è  quello di spiegare le scritture per  l'utilità dei fedeli  sulla base di  una “sana ermeneutica”  e con  argomenti che  tengano conto  dell'analogia della fede e della dottrina cattolica (EB 40,143)… “dare alla sede apostolica gli elementi per dichiarare,  con maturo  giudizio, quello  che deve essere integralmente ritenuto,  quello che ha  bisogno di una  ricerca più approfondita  e quello  che deve  essere  lasciato al  parere  dei singoli” (EB 40,144).

 • “perché  serva  nel miglior modo a salvaguardare la verità della fede cristiana”. “Inoltre con tutti mezzi dovrà sostenere e promuovere questi studi” (biblici di cui si è parlato sopra) (EB  40,145).

 

La “questione biblica e l'enciclica Providentissimus Deus (1893)

L'enciclica Providentissimus Deus di Leone  XIII, è pubblicata il 18 novembre del  1893. Il 25  gennaio dello stesso  anno  era apparso  sul Le  Correspondant di Parigi un articolo di Maurice d'Hulst, rettore  dell'Istituto cattolico  di  Parigi, su  quella  che  egli  chiama la  “questione  biblica”: conciliare gli  sviluppi  della ricerca  scientifica,  soprattutto  in campo storico, con il principio dell'ispirazione divina della  Bibbia, che garantisce allo scritto sacro l'inerranza in materia di fede e  di morale. M. d'Hulst sostiene una posizione intermedia tra  la “scuola larga” e quella  “stretta”: l'ispirazione biblica non esclude che possano esservi degli errori nel testo sacro  per quanto  riguarda l'ambito  profano.

Alcuni ambienti cattolici vorrebbero una condanna della posizione di  Mons. d'Hulst. La risposta alle  sue tesi viene dieci mesi dopo con l'enciclica pontificia, dove si precisa la motivazione  di  questo intervento: “spronare e raccomandare questo studio altissimo delle  sacre Lettere  e dirigerlo  anche più  conformemente alle necessità dei tempi presenti”. Leone  XIII, nel 1883, dieci anni prima  aveva  pubblicata la  lettera  sugli studi  storici  e fin dall'inizio del suo pontificato si era preoccupato di curare l'educazione del clero nella linea del tomismo (Enciclica Aeterni Patris del 1879; Cognita  nobis del 1882). Ma ragione del nuovo documento è la  minaccia contro la sacra  Scrittura, “fonte della  rivelazione cattolica”, che si può tollerare che “venga violata in alcuna parte da coloro che con empia audacia inveiscono  apertamente contro la  sacra Scrittura, o tramano a suo danno ingannevoli o imprudenti innovazioni” (EB 37,82).

Dopo aver elogiato e incoraggiato quanti fra  i cattolici si adoperano per la difesa,  la conoscenza e  l'intelligenza  dei libri  sacri, l'enciclica nella prima  parte fa una sintesi storica e teologica circa l'uso, lo studio e la  divulgazione della sacra Scrittura per la vita, la predicazione e la spiritualità della  chiesa. Ricorda che non sono mancati cattolici che “ben meritarono in tali  studi, difendendo le sacre Lettere contro le avverse dottrine del razionalismo, tratte dalla filologia e da  altre discipline  affini”.

Nella seconda parte, dedicata all'ordinamento degli studi  biblici, Leone XIII premette alcuni paragrafi per far conoscere “quale genere di avversari si accaniscono in questa lotta e in quali  artifici o armi  confidino”. Non si  tratta più solo  del confronto con i  protestanti, che  “basandosi  sul  proprio  giudizio privato e ripudiando le tradizioni divine e il magistero della chiesa asserivano essere la  Scrittura l'unica fonte della rivelazione e il supremo arbitro  della fede. Ora la  lotta è con i razionalisti, i quali, quasi figli ed eredi dei primi, basandosi parimenti sul proprio giudizio, ripudiano nel modo più assoluto persino questi stessi elementi della fede cristiana ricevuti dai padri. Essi infatti  negano del tutto sia  la divina rivelazione, come l'ispirazione e la  sacra Scrittura, e vanno dicendo che altro non sono  se non artifici e invenzioni degli uomini,  che non contengono vere narrazioni di cose realmente accadute, ma inutili favole o storie menzognere; così  non abbiamo in esse vaticini od oracoli, ma soltanto predizioni fatte dopo gli eventi o presagi di intuito naturale; non presentano veri e propri miracoli e manifestazioni della  potenza divina, ma si  tratta o di fatti meravigliosi, mai però superiori alle  forze della natura, o  di magie e miti. I vangeli poi e gli scritti apostolici sono  certamente, dicono, da attribuirsi ad altri autori” (EB 37,100).

L'interpretazione razionalistica  della  Bibbia, dice  il documento pontificio, si  ammanta del titolo  altisonante di  “scienza libera” che nasconde  però  un  miscuglio  di  sentenze e opinioni divergenti  e   contraddittorie.  Ma ciò  non impedisce ai suoi propugnatori di cercare il  consenso presso i  dotti e di  influenzare  anche il “popolo indotto”. Il documento propone come rimedio  efficace lo studio  assiduo e  l'insegnamento corretto  e integro  della  sacra Scrittura, interpretata secondo il principio ermeneutico del  concilio di Trento, richiamato nel concilio Vaticano I: “sia da ritenersi quale autentico senso  della sacra  Scrittura quello che tenne e tiene la santa  madre  chiesa, cui  spetta giudicare  del vero senso e dell'interpretazione delle  sante  Scritture;  e che perciò non  è permesso ad  alcuno  interpretare la  stessa  sacra  Scrittura  contro questo senso o anche contro l'unanime consenso dei Padri” (EB 37,108).

Questo non esclude l'investigazione della scienza biblica, “anzi la  preserva  immune da errore e contribuisce grandemente al suo progresso”. Infatti resta aperto alla ricerca il vasto campo dei passi biblici, dei  quali non c'è ancora una  interpretazione “certa e  definitiva” per fare  in modo che, anche grazie allo studio diligente, maturi il giudizio della chiesa. In ogni caso nella interpretazione dei testi, il cui senso non è definito, si deve “seguire l'analogia della fede e attenersi, come a norma suprema, alla dottrina cattolica, quale la si riceve dall'autorità della  chiesa”.

Il criterio ermeneutico dell'analogia della fede si fonda sul fatto che Dio è autore sia dei libri sacri sia della dottrina, di cui la chiesa è costituita depositaria (EB 37,109).

Quindi il testo dell'enciclica illustra il secondo criterio dell'ermeneutica cattolica - il consenso unanime dei padri - precisando il rapporto tra senso letterale e allegorico. In tal  modo, auspica il testo dell'enciclica, l'uso della divina Scrittura come è necessario, eserciterà il suo influsso su tutta la teologia e ne sarà quasi l'anima (EB 37,114).

Nella terza parte della lettera leonina indica quali sono  concretamente i mezzi di cui devono valersi gli studiosi cattolici per far fronte agli avversari. “Il primo mezzo è lo studio delle  antiche lingue orientali  e della  cosiddetta arte  critica”. Lo studio delle lingue è raccomandato a tutti i cultori di teologia. In particolare i docenti delle sacre lettere invece “dovranno essere  più dotti e  più esercitati nella vera scienza dell'arte critica” per poter rispondere con argomenti validi e sicuri a quanti, in nome della “nuova scienza”, contestano l'autenticità  dei  libri  sacri. In realtà, afferma il documento pontificio, questi tali sono il più delle volte  “impregnati di una vana filosofia e delle  dottrine del razionalismo, per cui  non esitano a rimuovere dai  sacri libri profezie,  miracoli, e tutto  ciò  che supera l'ordine naturale” (EB 37,119).

Lo scontro dunque riguarda il rapporto tra verità biblica e scienza dei fisici. Il sospetto nei confronti degli autori sacri circa la loro imperizia nell'ambito delle conoscenze naturali può incrinare la fede  complessiva nella divina rivelazione. In questo caso vale questo principio di  epistemologia: “Nessuna vera contraddizione potrà mai  interporsi tra il teologo e lo studioso delle scienze naturali, finché l'uno e l'altro si manterranno nei propri confini”. D'altra parte  si deve stabilire un corretto rapporto tra ermeneutica biblica e sapere   scientifico, sulla base dei criteri  che risalgono ad Agostino e Tommaso d'Aquino: “Lo Spirito di Dio che parlava per  mezzo degli scrittori sacri, non intendeva ammaestrare gli uomini su queste cose (cioè sull'intima costituzione degli oggetti visibili), che non hanno importanza alcune  per  la salvezza  eterna”, per cui essi più che attendere direttamente all'investigazione della natura,  descrivevano e rappresentavano talvolta  le cose con una qualche locuzione metaforica, o come lo comportava il  modo comune di  parlare di  quei tempi ed  ancora  oggi  si usa riguardo a molte  cose nella vita quotidiana, anche tra uomini molto dotti”. L'autore sacro si attenne a ciò  che “Dio  stesso, parlando agli uomini,  espresse  in  modo  umano per farsi comprendere da essi”. (EB 37,121).

La questione cruciale del dibattito riguarda il rapporto tra Bibbia e scienza storica: “queste stesse cose gioverà applicarle anche alle altre scienze affini,  specialmente alla storia”. Si precisa quindi che vi sono alcuni che nella  ricerca storica sull'antichità perseguono  l'intento “di  scoprire errori nei Libri sacri per riuscire ad  infirmarne e  scuoterne l'autorità”. Ai testi sacri, dice l'enciclica, si deve  dare almeno lo stesso  credito che di  solito gli  studiosi attribuiscono  ai  libri profani e agli antichi monumenti. Si può ammettere che nella trascrizione dei  codici qualche cosa sia riportato meno rettamente  o che il senso preciso  di qualche passo rimanga incerto. In questo caso si deve far ricorso alle migliori regole dell'interpretazione. “Ma non è assolutamente permesso o restringere  l'ispirazione soltanto ad alcune  parti della sacra Scrittura, o  ammettere che  lo stesso autore sacro abbia errato. Infatti non è ammissibile il metodo di coloro che risolvono queste difficoltà non esitando a concedere che l'ispirazione divina  si estenda  alle cose  riguardanti le  fede e i costumi, e nulla più, stimando erroneamente, che, trattandosi del vero senso dei passi scritturali,non tanto sia da ricercarsi quali cose abbia detto Dio, quanto piuttosto soppesare il motivo per cui le abbia dette. Infatti tutti  i libri e nella loro integrità,  che la  chiesa  riceve come sacri e canonici, con tutte le loro parti, furono  scritti sotto l'ispirazione dello Spirito santo, ed è perciò impossibile che la divina ispirazione possa contenere alcun errore, che essa, per  sua natura, non solo esclude anche il minimo errore, ma lo esclude e rigetta così necessariamente, come necessariamente Dio, somma verità, non può  essere nel modo più  assoluto autore di alcun errore” (EB 37,124). A sostegno di tali affermazioni, riporta l'autorità dei concili Fiorentino e Tridentino, che hanno avuto piena ed esplicita conferma nel concilio  Vaticano I, dove  si afferma: “E la chiesa li ritiene sacri e canonici (i libri dell'AT e NT) non per il motivo che, composti dal solo ingegno umano, siano poi stati approvati dalla sua autorità, e neppure per il semplice fatto che contengono la rivelazione senza errore, ma perché,  essendo stati scritti sotto l'ispirazione dello Spirito santo, hanno Dio per autore” (Vaticano  I, sess. 3; cap. “De revelatione”).

Argomentazione dell'enciclica: Dio per mezzo dell'ispirazione è  l'autore della sacra Scrittura. L'ispirazione a sua volta viene descritta come l'azione  di  Dio che stimola gli autori a scrivere e li assiste nella scrittura “di modo che tutte quelle cose e quelle solo che egli voleva, le concepissero rettamente con la mente, e avessero la volontà di scrivere fedelmente e le esprimessero in maniera atta con  infallibile verità” (EB 37,125). Se Dio  è autore - “principale” dice il  testo dell'enciclica - della Scrittura essa partecipa della stessa infallibilità di Dio, in caso contrario  Dio stesso sarebbe autore  dell'errore.

  

Osservazioni         

• l'enciclica di Leone XIII, anche se è il primo documento completo e organico del magistero sulla sacra Scrittura, può contare e di  fatto si fonda su una lunga tradizione che parte dai  padri della chiesa  e arriva fino agli ultimi grandi concili;

• essa nasce sull'onda della polemica innescata dal razionalismo e si lascia spesso  condizionare da una  preoccupazione prevalentemente apologetica;

• tuttavia il merito di questo testo del magistero è quello di  avere individuato i punti cruciali del  dibattito di teologia biblica fondamentale: ispirazione e verità della Bibbia (formulata al negativo come inerranza) nel contesto più ampio del rapporto tra scienza e fede; definizione del contributo specifico dei vari protagonisti nell'interpretazione della Scrittura: la tradizione, il magistero, lo  studio scientifico la teologia;

• punti da chiarire  approfondire: il significato di “autore”, applicato al concetto teologico di  ispirazione; il ruolo  e  leggi del  linguaggio nella Bibbia; il coordinamento dei vari protagonisti nel processo d'interpretazione della Bibbia nella chiesa.

         

 b. Pio X (Giuseppe Sarto - 1903-1914)

• 1907, enciclica Pascendi dominci gregis  

• 1909, fondazione del Pontificio Istituto  Biblico di Roma

 

Prese di posizione  contro i modernisti

Nel  clima antimodernista si tende a mettere in guardia gli studiosi cattolici della Bibbia dal rischio di deviazione dalla fede rappresentato dalle  nuove teorie  critiche.

Con il Motu proprio del 1907 Pio X dichiara e decreta espressamente: “tutti sono tenuti in coscienza a sottomettersi alle decisioni del Pontificio Consiglio Biblico, sia a quelle  finora  già emanate, sia a quelle che saranno emanate nel futuro, allo stesso modo che ai decreti delle sacre congregazioni riguardanti la dottrina approvati  dal  pontefice” (EB  51,270). Questo  intervento  intende smascherare “la crescente  audacia di molti  modernisti, i quali, con ogni sorta di sofismi e di artifici, si sforzano di togliere forza  ed  efficacia” sia  al  decreto Lamentabili  sia all'enciclica Pascendi. Perciò si commina la pena della scomunica per “coloro che li contraddicono”, scomunica riservata al romano pontefice. Quindi si indicano i provvedimenti che gli ordinari e i superiori degli Istituti Religiosi devono prendere nei confronti degli insegnanti dei seminari imbevuti degli errori dei modernisti o  poco docili alla  prescrizioni della sede apostolica.

Il  Motu proprio del 29  giugno 1910 Illibatae custodiendae prescrive che i candidati al dottorato in sacra Scrittura sono tenuti a recitare e pronunciare una formula di giuramento, in cui il singolo candidato “si sottomette e con animo sincero aderisce a tutte le decisioni, dichiarazioni e prescrizioni della sede apostolica e dei romani pontefici circa le sacre Scritture e circa la maniera di spiegarle”. Di seguito sono elencati i documenti del magistero che vanno dalla Providentissimus di Leone XIII alla lettera apostolica  di Pio X Vinea electa del 7 maggio 1909, con la  quale viene fondato  il  Pontificio Istituto Biblico di Roma.

 

•  dal 1904 al 1914 vi sono dodici interventi della Pontificia Commissione  Biblica su  questioni  di  critica storica, “citazioni implicite” e narrazioni solo apparentemente storiche (1905); genere storico dei primi tre capitoli della Genesi (1909); questione degli autori  e della  composizione dei  libri biblici, autenticità mosaica e origine del Pentateuco (1906); valore profetico e origine del libro di Isaia (1907); tempo di composizione, origine e interpretazione dei Salmi (1910); origine apostolica giovannea  e verità  storica  del  quarto  vangelo  (1907); origine  e  valore  storico  del vangelo di Matteo  (1911);  origine, composizione e  valore storico dei vangeli di  Marco e  Luca (1912); l'ipotesi delle “due fonti”, applicata alla questione sinottica (1912); origine, composizione  e valore storico del libro degli Atti  degli apostoli (1913); origine paolina delle lettere pastorali (1913); autenticità paolina della lettera agli ebrei  (1914).

• dal 15 febbraio 1909 gli Acta Apostolicae Sedis, editi dalla Tipografia  Vaticana, diventano l'organo ufficiale per la pubblicazione degli atti della  Pontificia Commissione biblica, che diventa espressione  autorevole  del magistero pontificio in materia biblica.

• 1912: Decreto  della Congregazione Concistoriale del 19 giugno, che proibisce nel modo più assoluto che alcuni libri di carattere biblico siano introdotti nei seminari, perché permeati delle teorie del razionalismo e dell'ipercritica.

 

Interventi a sostegno degli studi biblici

• 1904: lettera apostolica di Pio X, Scripturae sanctae del 23 febbraio 1904, con la quale si istituiscono i gradi accademici di licenza e dottorato in sacra Scrittura, che dovranno essere conferiti dalla Commissione biblica;

•  1906: con la lettera apostolica Quoniam in re biblica  del  27 marzo, si cerca di dare  attuazione alle direttive dell'enciclica Providentissimus Deus circa l'ordinamento degli studi di sacra Scrittura nei seminari;

• 1907: con lettera del card. Rampolla del 30 aprile si incarica l'ordine Benedettino di raccogliere le varianti della Volgata, in vista di una sua nuova edizione emendata secondo gli auspici del concilio di Trento; incarico confermato e incoraggiato con la lettera dello stesso pontefice all'abate  A. Gasquet del 3 dicembre 1907;

• 1909: con la lettera apostolica Vinea electa del 7 maggio si ha la fondazione del Pontificio Istituto Biblico a Roma, già progettata da Leone XIII con lo scopo di fornire alle scuole cattoliche maestri competenti per la spiegazione dei  libri  sacri.

 

c. Alfred Loisy (1857-1940): la crisi modernista

Leone XIII muore il 29 luglio del 1903 e il 4 agosto viene  eletto Pio X.  Il  nuovo  papa prende  subito posizione nei confronti  del “modernismo”,  che  in Francia per l'ambito  degli studi biblici è legato al nome di Alfred Loisy. I presupposti teorici e le condizioni storiche della crisi modernista  sono già presenti nello scorcio del secolo precedente. Sono le conseguenze di quel  razionalismo  denunciato  come una minaccia  nell'enciclica leonina del 1893. Di fatto però  il 16 dicembre 1903 il santo Uffizio mette all'indice cinque opere del Loisy, tra cui il “piccolo libro  rosso”, L'Evangile et l'Eglise e il suo commento Autour d'un petit livre, pubblicati rispettivamente nel 1902 e 1903. Ma solo nel luglio del 1907 esce il decreto Lamentabili  della  sacra e universale Inquisizione, dove sono “designati e riprovati i principali errori” del cosiddetto riformismo o modernismo. Si può rilevare che gran parte delle 65 proposizione riprovate e condannate nel decreto dell'Inquisizione  sono tratte dalle opere del  Loisy.

Nel mese di settembre dello stesso anno esce l'enciclica Pascendi dominici gregis, dove sono esposti in modo più articolato gli errori della “teologia modernista”. Nell'ambito degli studi biblici si denunciano le deviazioni che riguardano la natura e l'origine dei libri sacri, ridotti  ad “una  raccolta di esperienze” religiose; la  natura e l'ambito dell'ispirazione biblica; e  infine il rapporto  tra fede, storia e verità scientifica nei  libri sacri. Alla base di tali errori in materia di esegesi privilegia il soggettivismo, l’immanenza e l’evoluzione vitale. In breve, come si dice nel Motu proprio del 18 novembre 1907, Praestantia Scripturae, richiamandosi agli errori del razionalismo già  condannati da  Leone  XIII, il modernismo  è la “sintesi  di tutte le  eresie” (EB  51,272).

 

d. Marie-Joseph Lagrange O.P. (1855-1938)

Nel mese  di gennaio  del 1903 il Lagrange è nominato membro della nuova Commissione. Nel nel mese di marzo dello stesso anno la Revue Biblique,  fondata dal Lagrange nel 1891 come strumento scientifico dell'Ecole biblique di Gerusalemme (1890), viene scelta per la  pubblicazione  degli atti  della  nuova Commissione Biblica e con il primo gennaio  1904 essa inizia la Nouvelle sèrie. Nel 1903 Lagrange pubblica La méthode historique (con riedizioni successive). Il 7 maggio del 1905 si precisa che la Revue Biblique non è l'organo ufficiale della Commissione. Nel 1907 viene comunicato al Lagrange che è “la volontà del Santo Padre che il suo commento  alla Genesi non sia pubblicata né in volume, né sulla Revue, né in bozze, né in qualsiasi altra forma”. I sospetti e le opposizioni circa i criteri esegetici esposti da Lagrange ne La méthode historique, e applicati anche nel “Commento al vangelo di Marco”(1911), porteranno nel 1912 alla  sua  sospensione dall'insegnamento per un anno.

Lagrange si pone il problema del corretto  rapporto tra la ricerca della verità con metodo scientifico e la tutela della fede  cattolica, di cui  la  chiesa è  “colonna  di verità”. Nel 1909,  anno  di fondazione del Pontificio Istituto Biblico a Roma, scrive così: “E, del resto, non ci viene forse rimproverato abbastanza che non siamo liberi, che siamo pregiudizialmente chiusi alla verità e non è dunque  necessario mostrare che non ne abbiamo timore? E quando si tratta di problemi filologici, letterari o di pura storia, come si può rinfacciare ad ogni istante il senso  della  Chiesa,  vale a dire un'opinione media che non se ne mai occupata? Certi spiriti indipendenti non possono aver visto giusto? Perché dunque non dirlo lealmente? Leone XIII, Pio X ci hanno invitato a farlo, si deve dunque dimenticare questa parte delle loro direttive?”

     

e. Benedetto XV (Giacomo Della Chiesa - 1914-1922)

• 1917: enciclica Humani generis

• 1920: nel quindicesimo  centenario della morte di  S. Girolamo, Benedetto  XV pubblica l'enciclica biblica Spiritus Paraclitus sulla interpretazione della Bibbia.

Il nuovo papa, eletto il 3 settembre 1914 Benedetto XV, arcivescovo di Bologna Giacomo Della Chiesa, ex-segretario personale del cardinale Rampolla, sostituto alla Segreteria di Stato il 15 agosto 1916, pubblica la  lettera apostolica Cum Biblia sacra nella quale precisa quali devono essere i rapporti tra il Pontificio Istituto Biblico e la Pontificia Commissione per la revisione della Volgata e la Commissione Biblica. La Lettera enciclica Humani generis  dell'anno successivo sulla predicazione della parola di Dio ha un carattere pratico pastorale.

 

Enciclica Spiritus paraclitus (15 settembre 1920)

Affronta alcune questioni bibliche richiamandosi all'enciclica di Leone  XIII: presenta la  figura  di  Girolamo esemplare nel suo insegnamento circa la dignità divina e l'assoluta veracità delle sacre Scritture; richiama il suo insegnamento circa la natura dell'ispirazione biblica, dove collaborano alla stessa opera Dio come causa principe e il singolo scrittore con le sue caratteristiche peculiari (EB 73,448).

• “l'ispirazione divina dei  libri santi e la loro sovrana autorità comportano, quale conseguenza  necessaria, l'immunità  e l'assenza di  ogni errore e  di ogni inganno”  (EB 73,450). 

• contesta l'opinione di  alcuni che si richiamano al documento di Leone  XII. Per risolvere le difficoltà del testo sacro alcuni distinguono nel testo biblico un elemento principale o religioso e uno secondario o profano. L'immunità dall'errore e assoluta veracità della Bibbia, effetti della  divina ispirazione, sono limitati al solo elemento principale o religioso. Il resto, che ha che fare con le scienze profane, è come un specie di involucro esteriore della verità divina rivelata. Per sostenere queste opinioni essi rimandano al testo di Leone XIII, dove si afferma che l'autore  sacro  “ha parlato secondo le apparenze esteriori, suscettibili di inganno”.

Il documento leonino invece “asserisce come cosa sicura che i sensi, nella percezione immediata delle cose, oggetto vero di conoscenza, non si  ingannano affatto… Inoltre il  nostro predecessore, dopo aver negato ogni distinzione e ogni possibilità di equivoco secondario, dimostra chiaramente il gravissimo errore di coloro i quali ritengono che per giudicare della verità delle proposizioni bisogna senza dubbio ricercare ciò che Dio ha detto, ma più ancora valutare il motivo  che  lo ha indotto a parlare” (EB 73,455).

L'ispirazione divina della  Scrittura si estende  senza selezione e distinzione alcuna in tutte le sue parti. Anche  la questione  delle “apparenze  storiche” e  della “verità  storica relativa” della Bibbia, che si adatterebbe al modo comune di pensare, viene risolta sulla base di una interpretazione autorevole del testo dell'enciclica di Leone XIII. Infatti si basano su  un'indebita lettura del testo pontificio quelli che trasferiscono nel campo della storiografia i principi affermati dall'enciclica in materia di fenomeni naturali, presentati dagli autori sacri “secondo le apparenze”. L'enciclica di Benedetto XV introduce una distinzione epistemologica tra “scienze fisiche” e “storia”: le scienze fisiche si occupano di oggetti sensibili e devono concordare con i fenomeni così come appaiono, “la storia invece, narrazione di fatti, dove coincidere - ed è  questa la sua legge principale - con questi  fatti, come  realmente si sono verificati” (EB 73,457).

L'intenzione di Leone XIII è di difendere la “verità storica della sacra  Scrittura” dato il diverso statuto epistemologico delle “scienze” rispetto alla “storia”, dove  si fanno coincidere  storiografia con narrazione di fatti ed eventi reali.

 

Altri interventi

•  1915: la Pontificia Commissione biblica risponde sulla questione della parousia nelle lettere di Paolo

• 1920: decreto del S. Ufficio su due scritti francesi, che toccano anche  l'autenticità  mosaica del Pentateuco

• 1921: dichiarazione sull'aggiunta delle varianti nelle edizioni della Vulgata

 

f. Pio XI  (Achille Ratti - 1922-1939)

Si possono segnalare solo sporadiche condanne e moniti  del S. Ufficio  e  tre  risposte  della  Pontificia  Commissione  biblica   sulla  interpretazione di alcuni  testi biblici.

• 22 dicembre 1923: il S. Ufficio dichiara che il Manuel Biblique ou Cours  d'Ecriture Sainte à l'usage des Séminaires, di F. Vigouroux e M Bacuex. rivisto e corretto da A. Bressac, sacerdoti dell'Ordine di San Sulpizio, inviato a Roma per  essere esaminato, “soffre di molti e gravi difetti che talmente la invadono e la impregnano da rendere del tutto impossibile qualunque correzione”; si tratta della natura dell'ispirazione e dell'inerranza biblica,  dell'autenticità  e  verità  storica  dei  libri  ispirati. Si rimprovera al revisore di  aderire alle tendenze liberali, riprovate o condannate dai documenti pontifici.

• 27 aprile 1924: con il Motu proprio Bibliorum scientiam si sollecitano i vescovi ad inviare a Roma giovani sacerdoti e provvedere al loro sostentamento per poter conseguire i gradi accademici nelle scienze bibliche, per avere “i nostri  istruiti con grande abbondanza di sana erudizione per illustrare la verità… difendere il dono divino della sapienza celeste contro le finzioni della falsa scienza” (EB  76,505).

• 1933: risposta della Pontificia Commissione Biblica circa l'opera di F. Schmidtke, Die Einwanderung Israels in Kanaan, edita  a Bratislava  nel 1933: “merita una assoluta riprovazione e deve essere  ritirata dalle scuole cattoliche”,  perché contraddice  la dottrina  cattolica proposta chiaramente nelle lettere encicliche Providentissumus Deus di Leone XIII e Spiritus paraclitus di  Benedetto XV (EB 79,515-517); si richiamano le disposizioni di Pio X  del 1907 circa  l'obbligo grave in coscienza  per tutti  di sottomettersi alla decisioni della Pontificia Commissione biblica  (EB 79,519).

• 15 giugno 1933: con la Costituzione Inter praecipuas si conferma l'affidamento all'abbazia di S. Girolamo della revisione ed emendazione  della Vulgata

 

g. Pio XII (Eugenio Pacelli - 1939-1958)

• 1943: enciclica Divino afflante Spiritu, del 30 settembre, nel cinquantesimo dell'enciclica di Leone XIII

• 1950: enciclica Humani generis

 

 

 

L'enciclica Divino afflante Spiritu (1943)

La lettera enciclica è anticipata nella lettera inviata dalla PCB ai vescovi d'Italia il 20 agosto del 1941, firmata dal card. E. Tisserant, dove si prende posizione nei confronti di un opuscdo anonimo di 48 pagine in ottavo, intitolato: “Un gravissimo pericolo per la chiesa e per le anime. Il sistema critico-scientifico nello studio e nell'interpretazione della sacra Scrittura, le sue deviazioni funeste e  le sue aberrazioni”, copia conforme dell'esposto presentato al Santo Padre Pio XII” (spedito come manoscritto riservato”, ai Cardinali membri del sacro collegio, agli Ordinari d'Italia e ad alcuni Superiori generali degli ordini religiosi; l'opuscolo dice la lettera della PCB, “vuole essere una difesa di una certa esegesi detta di ‘meditazione’, ma è in realtà una virulenta accusa dello studio scientifico delle sacre Scritture: esame filologico, storico, archeologico, ecc., della Bibbia, altro non sono che razionalismo, naturalismo, modernismo, scetticismo, ateismo, ecc...”. L'anonimo attacca persone e, Istituti disprezza l'erudizione, lo studio delle lingue orientali e delle altre scienze ausiliarie e trascorre a gravi errori circa i principi fondamentali dell’ermeneutica cattolica” (EB 82, 522-523). La lettera prende posizione su quattro punti attaccati dallo scritto anonimo: 1) il senso letterale, contrapposto al senso “spirituale” o tipico; 2) l'uso della Volgata, considerata come unico testo autorevole contro i testi originali; 3) la critica testuale, ritenuta un attentato alla sacralità del testo biblico; 4) lo studio delle lingue orientali e delle scienze ausiliarie, che sarebbe nient'altro che vano sfoggio di erudizione degli “scientifici” (EB 82,524-530)

 

Struttura dell'enciclica Divino afflante Spiritu

•    introduzione

• prima parte di carattere storico - documenti pontifici da Leone XIII e ai suoi successori per gli studi biblici

• seconda parte di carattere dottrinale in cinque punti: a) ricorso ai testi originali: ruolo della critica testuale e versioni nelle lingue vive; b) sull'interpretazione: senso letterale e retto uso di quello spirituale; c) compiti peculiari degli interpreti attuali: ruolo dei generi letterari soprattutto nella storia; d) come trattare le questioni pili difficili; e) uso della sacra Scrittura nell'istruzione dei fedeli; conclusione esortativa rivolta a quelli che si dedicano agli studi biblici

• “le condizioni dello studio della Bibbia sono cambiate grazie all'apporto delle nuove scoperte archeologiche, papirologiche e alla critica testuale”

•  si portano molti esempi circa “il modo di parlare, di narrare, di scrivere proprio degli antichi” (EB 85, 546)

• fra tutti i compiti dell'esegeta cattolico il più alto è “di trovare ed esporre il genuino pensiero dei sacri Libri… massima cura deve essere quella di giungere a discernere e precisare quale sia il senso letterale, come suole chiamarsi, delle parole bibliche”

• le informazioni di carattere storico, archeologico, filologico e di altre materie sono utili in quanto “possono contribuire all'esegesi, ma principalmente mettono in vista la dottrina teologica di ciascun libro o testo intorno alla fede e i costumi” (EB 85,551).

• riguardo al senso spirituale del testo: “l'esegeta, come è tenuto a ricercare ed esporre il significato proprio o letterale delle parole, inteso ed espresso dall'autore sacro, così deve avere la stessa cura nella ricerca del significato spirituale, purché realmente risulti che Dio ve l'ha posto. Solo Dio difatti poté sia conoscere sia rivelare a noi quel significato spirituale” (EB 85, 552); criteri e norme: in sintonia con la tradizione liturgica e l'esegesi dei Padri e dottori della chiesa.

• la questione dei “generi letterari”, connessa con il dibattito sulla natura dell’ispirazione e la ricerca del senso letterale di uno scritto e di quello inteso dal suo autore; l'interprete deve discernere quale “sia stata l'indole propria del sacro autore, quali le condizioni della sua vita, in quale tempo sia vissuto, quali fonti, scritte o orali, abbia adoperate, di quali forme del dire si avvalga. Così potrà più esattamente conoscere chi sia stato l'agiografo e quale cosa abbia voluto dire nel suo scritto” (EB 85, 557).

• per determinare “quel che ha voluto significare”' un autore antico, non basta il ricorso alle leggi della grammatica, della filologia o all'analisi del contesto; l'interprete, deve “'discernere quali generi letterari abbiano voluto adoperare gli scrittori di quella remota età”, in accordo con quelle forme o generi di dire in uso tra le persone dei loro tempi e paesi.

•  la determinazione di queste forme deve essere fatta sulla base di una accurata ricognizione delle antiche letterature, con l'ausilio delle nuove scoperte dell'archeologia e della storia antica, che fanno meglio conoscere “quale fosse la mentalità degli antichi scrittori, e la loro maniera ed arte di ragionare, narrare e scrivere” (EB 85, 561).

 

Nella prospettiva dei “generi letterari” si affronta la questione dell'inerranza o Verità della Bibbia soprattutto per quanto riguarda la storia e le scienze della natura. Non va esclusa dai Libri sacri nessuna di quelle maniere di parlare adoperate per esprimere il pensiero della mente umana, “a condizione però che il genere di parlare adottato non ripugni affatto alla santità di Dio né  alla verità delle cose”. L'interprete della Scrittura deve ricercare “quanto la forma del dire o il genere letterario adottato dall'agiografo possa condurre alla retta e genuina interpretazione”. Infatti quello che in alcuni testi sacri può sembrare errore storico o inesattezza nel riferire i fatti, ad un esame più accurato risulta che si tratta semplicemente di quelle native maniere di dire o di raccontare in uso tra gli uomini. Perciò, quando tali maniere si trovano nella parola di Dio, che si rivolge agli uomini con linguaggio umano, non possono essere considerate fonte di errore come non lo sono nella quotidiana consuetudine della vita. In tal modo “si potranno sciogliere molte obiezioni sollevate contro la veridicità e il valore storico delle divine Scritture”, e avere una più piena e luminosa comprensione del pensiero del sacro autore (EB 85, 60).

 

Altri interventi

• 1948: lettera della PCB al cardinale di Parigi Suhard del I6 gennaio 1948, in risposta a due quesiti: sulle fonti del Pentateuco e sulla storicità dei primi undici capitoli della Genesi; si devono “comprendere e interpretare” alla luce delle indicazioni della Divino afflante Spiritu

• 1950: enciclica Humani generis, dove si denuncia il rischio delle “nuove teorie”, che ripropongono i vecchi errori circa l'inerranza dei testi sacri, in quanto considerano infallibile solo il loro senso divino, nascosto sotto un senso umano; prende posizione contro la nuova esegesi, chiamata simbolica e spirituale, contrapposta a quella letterale della chiesa; tocca le  questioni sull'origine dell'universo e della specie umana, evoluzionismo e poligenismo; esorta alla doverosa cautela e invita a distinguere tra “fatti realmente dimostrati” e le semplici ipotesi.

• 1954: per la nuova edizione dell'Enchiridion Biblicum si precisa che i decreti della PCB dell'inizio secolo vanno interpretati nel contesto storico del confronto con il razionalismo liberale; gli studiosi cattolici hanno “piena libertà nei confronti di tali decreti, salvo quando essi riguardino questioni di fede e di morale”.

 

h. Giovanni XXIII (Angelo Roncalli - 1958-1963

Il magistero biblico della chiesa, che ha dato un vivo impulso agli studi biblici, “ha  trovato piena conferma  nel concilio  Vaticano  II”. I metodi di ricerca e di analisi, stimolati anche dalla scoperta e pubblicazione di nuovi  documenti, hanno  reso necessario un nuovo esame dei problemi, che sono affrontati nel documento della Pontifica Commissione Biblica (Giovanni Paolo II, L'interpretazione  della  Bibbia nella chiesa, 1993)

 

Il Concilio Vaticano II: Dei Verbum

• 1961: monito del S. Ufficio che denuncia le “sentenze e opinioni che mettono in discussione l'autentica verità storica e oggettiva della sacra Scrittura”, in particolare “le parole e le opere di Gesù Cristo”; condanna del libro di Jean Steinmann, La vie de Jésus (1961)

• 1959: annuncia l'indizione del Concilio Vaticano II, il 25 gennaio 1959, nella Basilia di San Paolo fuori le mura; nell'estate dello stesso anno viene nominata la commissione antepreparatoria sotto la presidenza del cardinale D. Tardini

• 1965: nell'ottava sessione del Concilio Vaticano II, il 18 novembre 1965, viene approvata la Costituzione “Dei Verbum” sulla Divina rivelazione

• 1960: giugno, è pronto lo schema predisposto dalla commissione teologica presieduta dal cardinal A. Ottaviani: “Sulle fonti della divina rivelazione” in 13 punti: ispirazione, uso della Vulgata, rapporto fra Scrittura e Tradizione, inerranza, autenticità e verità storica dei Libri sacri e ermeneutica biblica.

• 1962: il 13 luglio, lo schema - Schema Constitutionis dogmaticae de fontibus divinae revelationis - rielaborato da una sottocommissione in cinque capitoli, è approvato dal papa

• 1962: il 20 novembre lo schema è presentato alla prima sessione del concilio; esito della votazione: su 2209 votanti, 1368 non placet; 822 placet; 19 nulli; il testo non può essere respinto perché manca la maggioranza richiesta dei due terzi dei votanti

• 1962:  il 21 novembre papa Giovanni XXIII, di propria autorità, decide di soprassedere alla discussione dello schema e dispone che sia demandato ad una commissione speciale per la necessaria revisione, da parte di una nuova commissione mista, sotto la presidenza congiunta del card. A. Ottaviani, e del card. A. Bea

• 1962-1963: tra la fine del 1962 e la primavera del 1963 cinque sottocommissioni elaborano i cinque capitoli del nuovo schema, che prende il nome: De divina Revelatione; nel primo capitolo si affronta la questione del rapporto fra Scrittura e Tradizione

• 1963-1964: dal mese di giugno del 1963 fino all'inizio del 1964 si raccolgono le osservazioni critiche dei padri conciliari; una sottocommissione elabora un terzo schema, in sei capitoli, approvato in commissione alla fine di giugno del 1964; per il capitolo sulla storicità dei vangeli si utilizza l'istruzione della PCB  pubblicata nell'aprile dei 1964

 

i. Paolo VI (Giovanni Battista Montini - 1963-1978)

• 1964: nel mese di luglio il terzo schema, inviato ai padri conciliari, è presentato e discusso nelle congregazioni generali del terzo periodo del concilio, inaugurato da Paolo VI il 14 settembre I964; lo schema riformato,  è distribuito ai padri conciliari il 20 novembre 1964

• 1965: nel mese di settembre, dal al 17 al 22, si susseguono le votazioni sullo schema per singoli capitoli; dalle proposte espresse nel  dibattito conciliare viene predisposto un nuovo testo; i singoli emendamenti sono posti ai voti nella 155 congregazione generale fissata per il 29 ottobre; la votazione sull'intero schema dà questo esito: su 2350 votanti, 2344 placet, 27 non placet, 7 nulli.

• 1965: il 18 novembre il testo della Costituzione dogmatica Dei Verbum, approvato, venne promulgato  nella sessione pubblica

 

Punti cruciali del Documento conciliare Dei Verbum

• rapporto tra rivelazione e tradizione, tra scrittura e tradizione, interpretazione e magistero della chiesa

• l'ispirazione, verità “salvifica” della Bibbia e conoscenza scientifica

• la verità storica dei Vangeli: il Gesù della storia e il Cristo della fede

• la Bibbia nella teologia e nella vita della chiesa

 

l. Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla - 1978-2005): Dopo la Dei Verbum

• 1985: Sinodo straordinario dei vescovi, dove si richiama la necessità di promuovere una interpretazione della sacra Scrittura attenta al suo senso originale, non separata né dalla viva tradizione della chiesa, né dall'interpretazione del magistero della chiesa

• 1993: la Pontificia Commissione Biblica prepara un documento in cui si traccia un orientamento dell’esegesi cattolica: “L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa”; il 23 aprile Giovanni Paolo IIl 93 tiene un discorso ai membri della  Pontificia Commissione Biblica e ai professori  del Pontificio Istituto Biblico nel centesimo anniversario dell'enciclica di Leone XIII Providentissimus Deus: fa  confronto  con  la Divino afflante Spiritu, di  Pio XII del  1943, nel cinquantesimo anniversario: sottolinea l'apporto specifico dei due documenti del magistero all'orientamento e alla promozione degli studi biblici

• 1995: la Commissione episcopale per la dottrina della fede della CEI pubblica la Nota pastorale: “La Bibbia nella vita della chiesa”

• 1997: la 43a Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana è dedicata alla Bibbia

• 2000: nella lettera apostolica: Tertio Millennio adveniente, Giovanni Paolo II esorta i cristiani a tornare “con rinnovato interesse alla Bibbia, sia per mezzo della sacra liturgia ricca di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi” 

• 2001: la Pontificia Commissione Biblica con il documento: “Il popolo ebraico e le sue sacre scritture nella Bibbia cristiana” affronta la questione del dialogo tra ebrei e cristiani sulla base della Bibbia

• 2008: Sinodo straordinario dei vescovi sul tema: “La Bibbia nella vita e nella missione della Chiesa”

 

Bibliografia

Ciola  N. (ed.), La “Dei Verbum” trenta anni dopo. Miscellanea in onore di Padre Umberto Betti o.f.m., Pontificia Università Lateranense - Piemme, Roma 1995. Numero monografico del periodico quadrimestrale Lateranum 61 (1995), nn. 2-3.

Fabris R., “Bibbia e Magistero”. Dalla Providentissimus Deus (1893) alla Dei Verbum (1965)”, in G. Segalla, “Cent'anni di studi biblici (1893-1993)”, Studia Patavina  41 (1994), 11-36.

Ghiberti G. - Mosetto F. (edd.), L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa (Percorsi e traguardi biblici), Elle Di Ci, Leumann - Torino 1998.