1. Il Testo Masoretico (TM)

di Patrizio Rota Scalabrini

 

Il testo masoretico

I rabbini trasmisero il testo della Bibbia ebraica in un processo di tradizione (masora = tradizione) per il quale elaborarono un complesso sistema di puntuazione, iniziato a partire dal VIII sec. d.C (alcuni antidatano tale tradizione al VI sec.). Tale puntuazione sembrò sempre più necessaria per assicurare la pronuncia del testo ebraico, che propriamente ha solo le consonanti. Attraverso un sistema di puntuazione vocalica si garantiva nel tempo la permanenza della lingua sacra e della sua praticabilità. Infatti il rischio era che nel tempo, essendo il testo soltanto consonantico, venisse deformata la tradizione di lettura. Ricordiamo qui che l’atto di lettura è al centro della consapevolezza che l’ebraismo ha del rapporto con il libro, sì che il rabbinismo, più che di Scrittura/Scritture (Bibbia) ama parlare di Miqra’, cioè lettura, recitazione. Questa operazione deve essersi peraltro prodotta non solo per considerazioni di necessità interna, ma anche per lo stimolo di fattori esterni, e cioè l’introduzione dei segni vocalici nei testi religiosi siriaci ed arabi.

Ma la puntuazione riguarda anche tutta una serie di note ai margini e alla fine del testo, aventi come finalità la preservazione del testo medesimo, evitando alterazioni ed errori di copiatura. Propriamente vi è una distinzione grafica: le note poste ai margini superiori e inferiori della pagina sono la cosiddetta masora magna, mentre quelle poste a lato, o tra le colonne del testo costituiscono la masora parva; quelle poste alla fine del testo sono la masora finalis.

Spieghiamo innanzitutto la masora parva. Qui le note segnalano le parole o le espressioni rare, i termini con ortografia inusuale (come ad esempio l’ortografia difettiva); inoltre quando dei piccoli termini, come ad esempio ’t (ta), appaiono più volte nel medesimo versetto, sono segnalati per evitare omissioni. Molto spesso poi le note indicano quante volte una forma appaia o nell’intera TeNaK o in una sezione precisa.

La masora magna, invece, offre una specie di concordanza con la lista dei passaggi dove appare una forma rara segnalata dalla masora parva. (vedi qui due esempi)

Il lavoro dei masoreti è stato indubbiamente enorme e indica una cura e un amore per il testo biblico anche nel suo aspetto grafico, materiale, che ben si spiega per una comunità ormai priva della terra d’origine, di autonomia politica, e che vede nel suo libro sacro una vera e propria ‘patria portatile’.

Ovviamente la scelta praticata era fondamentalmente arbitraria e si erano prodotti sistemi diversi di puntuazione, come quello babilonese praticato da comunità sefardite della Mesopotamia e di aree marginali, come lo Yemen. Questo sistema è sopralineare perché le vocali si scrivono sopra le consonanti. Concretamente fu la setta dei qaraiti che si incaricò di perfezionare il sistema di puntuazione conservato in alcune edizione dei targumîm e nei manoscritti yemeniti.

Vi era anche un sistema di puntuazione detto palestinese e praticato da comunità ebraiche del sud della Palestina. In realtà tutti questi sistemi sono stati per così dire soppiantati da quello tiberiense della famiglia dei Ben Asher. La fioritura di questa scuola è da collocarsi tra il 780 e il 930. Qui il suo più illustre e conosciuto rappresentante pubblicò un testo completo della Bibbia ebraica, con vocali ed accenti e tutto l’apparato masoretico. Si ritiene che il già citato codice di Aleppo sia una copia molto fedele di tale testo.

Per lo studio su questo processo di vocalizzazione si sono rivelati importanti i frammenti trovati già nel XIX secolo nella Geniza del Cairo, anche vari problemi restano irrisolti e la differenza di vocalizzazione potrebbe riflettere anche una differenza di dialetti ebraici.

 

Il testo pre-masoretico

I masoreti hanno lavorato su un testo consonantico giunto fino a loro. Ma quali possibilità abbiamo, oggi, di risalire oltre il testo masoretico, fino al testo consonantico?

Indubbiamente la situazione della critica testuale della Bibbia ebraica è ben diversa da quella dei libri del Nuovo Testamento. Infatti non abbiamo una documentazione papiracea significativa, che colmi lo iato tra il testo consonantico e quello masoretico. Eccezione significativa sembrava essere quella dei frammenti della Geniza del Cairo. Bisogna poi ricordare che, prima del 1947 (scoperte di Qumran), l’unico testo premasoretico noto era il papiro Nash del II sec. a.C., presentante lo Shemac un testo del Decalogo, frutto di commistione tra Es 20 e Dt 5.

Ci si chiede quale sia stato il testo consonantico tramandato dai manoscritti medievali. La problematica si connette con quella della fissazione definitiva di un testo consonantico ebraico che, almeno potenzialmente, doveva rimanere invariato nel tempo. Ebbene, il momento fondamentale per questa fissazione va ricercato tra il 70 e il 150 d.C., quando i rabbini della corrente farisaica cercarono di assicurare nel tempo l’unica cosa che ormai rimaneva ad Israele, e cioè il testo biblico. Esso veniva a costituire anche una base per la restaurazione del giudaismo; ad essa diede un contributo assolutamente significativo Rabbi Aqiba, martirizzato nel 132, a causa dei suoi rapporti con la seconda rivolta giudaica. Peraltro i suoi rapporti con la seconda guerra giudaica sono davvero significativi, poiché a questa vengono riportati anche i testi dello wādī Murabba‘at e di Nahal Hever (presso il Mar Morto). Questi reperti presentano frammenti di testo biblico consonantico fortemente vicino a quello trasmesso successivamente dai masoreti. Tale processo di fissazione del testo (concomitante anche con la fissazione di un canone) non è però iniziato soltanto dopo il 70, ma già prima. Bisogna quindi cambiare il modo di vedere il concilio di Yamnia, e cioè un momento particolare in cui si sarebbe fissato il testo biblico e il canone. Si tratta invece di un processo durato a lungo nel tempo. Ma resta la domanda su quale fosse la situazione del testo biblico prima del 70. La risposta è ora possibile grazie alle scoperte di Qumran, che ci hanno permesso di conoscere la magmatica situazione testuale intercorrente tra il 300 a.C. e il 70 d.C., ma che ci consentono altresì di affermare che il testo ebraico, assunto poi dalla tradizione rabbinica e puntuato successivamente dai masoreti, era una delle forme esistenti nel giudaismo, che i rabbini scelsero. In altri termini, i rabbini non operarono – come si è a lungo ritenuto – amalgamando più testi e recensioni e selezionando le varianti più comuni, ma scegliendo una forma testuale (più o meno in toto) che oggi definiamo protomasoretica o premasoretica.

È necessario qui inquadrare correttamente i dati testuali offerti dai manoscritti, tenendo presente anche la variegata situazione del giudaismo antecedente il 70 d.C. È proprio questo pluralismo che la documentazione di Qumran ci fa conoscere. Se dopo il 70 si delineano tre gruppi ben distinti tra loro (giudei, samaritani e cristiani), precedentemente le tendenze erano ancora più articolate e numerose, e il fariseismo vi appariva solo come una componente tra tante, sia pur culturalmente la più influente. Così i ritrovamenti di Qumran ci hanno portato nel vivo di un complesso e prolungato processo di gestazione, in cui vede la luce la Bibbia ebraica. È importante notare come i manoscritti qumranici, sia pure a livello di frammenti, coprano la totalità dei libri del canone ebraico (con l’unica eccezione di Ester); tra questi manoscritti si deve menzionare almeno il principale: 1QIsaa: rotolo completo del libro di Isaia su cuoio, copiato tra il 125 e il 100 a.C. (per una straordinaria riproduzione del rotolo, clicca qui).

Ebbene, proprio Qumran ci consente di farci un’idea più chiara circa la forma testuale degli scritti sacri. Appare così una situazione insospettata. I testi biblici circolavano almeno in forme diverse, che poi spiegano le diversità esistenti tra il testo confluito nel TM, quello assunto come Vorlage (termine tedesco che indica il testo originale ebraico, utilizzato da un traduttore per la sua versione) dalla traduzione dei LXX, e quello del Pentateuco samaritano. Così, ad esempio, i manoscritti di Isaia confermano la bontà del testo protomasoretico, che poi la masora farà suo.

La situazione è tale che le differenze tra 1QIsb e il TM non sono maggiori di quelli presenti tra i vari manoscritti medievali appartenenti alla tradizione masoretica! Questo ci fa capire come per molti testi della Bibbia, specie della Tôrāh, ci fosse una forma ben consolidata già prima del 70 d.C. D’altra parte le sorprese non sono finite, poiché le scoperte di Qumran mostrano come talora i LXX lavorino su testi ebraici, che fungono da Vorlage, la cui recensione attesta una forma testuale diversa da quella protomasoretica. Infatti basta riferirsi ai manoscritti classificati come 4QSamabc, che documentano appunto un testo molto simile a quello assunto e tradotto dai LXX. Come se non bastasse, talora i manoscritti offrono punti di contatto anche con il Pentateuco samaritano.

Ciò che comunque appare assodato è anzitutto un certo pluralismo testuale nel periodo tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C.; la versione dei LXX, poi, ne esce fortemente rivalutata e le sue varianti, rispetto al testo masoretico, non sono dovute ad imperizia o eccessiva libertà dei traduttori, ma proprio ad una diversa Vorlage testuale. Inoltre, alla luce di Qumran, appare chiaro che una storia generale del testo biblico consonantico è irrealizzabile, ma che per ogni libro bisogna fare una sua storia. In secondo luogo il testo biblico aveva una sua fluttuabilità che consentiva interventi su di esso; ciò significa che si privilegiava, rispetto alla lettera, il contenuto del testo. Ne è conferma anche il fatto che siano diverse tra loro le citazioni del testo biblico del Primo Testamento negli scritti del Nuovo, di Filone, di Giuseppe Flavio. In definitiva, si deve riconoscere l’esistenza di redazioni o di edizioni diverse dello stesso libro. Il caso più clamoroso è in assoluto quello di Geremia, per il quale in sostanza abbiamo due redazioni, con teologie e prospettive diverse: quella soggiacente alla traduzione dei LXX e quella protomasoretica, assunta poi dai masoreti.

Resta comunque da spiegare la questione di tale pluralismo testuale nei secoli antecedenti l’era cristiana. Non convince più la tesi di Kahle, che distingueva tra testi ‘volgari’, di bassa qualità, e testi ‘eccellenti’, colti. Piuttosto è più convincente la tesi di F. M. Cross, che nella pluralità dei testi riconosce invece varianti locali, legate perciò agli ambienti di trasmissione del testo. Avremmo allora tre tipi testuali, sviluppatisi separatamente in vari centri del giudaismo: la Palestina, l’Egitto, Babilonia. Il tipo palestinese sarebbe attestato dal Pentateuco samaritano, oltre che da alcuni manoscritti di Qumran; il tipo egiziano è da ricercarsi nella Vorlage dei LXX; infine il tipo babilonese è da riconoscersi nel testo protomasoretico che, almeno per il Pentateuco, offre un testo più breve, conservatore, con poche tracce di attività editoriale, di glossatura. Ma anche rispetto alla teoria delle varianti locali sono state avanzate delle riserve, poiché una possibile attività letteraria dei giudei in Babilonia nell’epoca tra Esdra e Rav Hillel non abbiamo alcuna informazione. D’altra parte anche la traduzione dei LXX non fu condotta interamente in Egitto, né su testi ebraici provenienti dall’Egitto.

 

La masora parva tra le due colonne

 

Codex Leningradensis, la masora magna e finalis

 

Papiro Nah

 

Codice di Aleppo

 
 

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