4. Il contenuto di alcuni manoscritti

 
 

a. La Regola della Comunità (Manuale di Disciplina) 1QS Serekh Ha-Yahad: Ordine dell’Unità

Si tratta di una raccolta di prescrizioni, ad uso della Comunità, e di un alto tenore spirituale, caratterizzate dall’obbedienza rigorosa alla Torah. Enumera e commenta le condizioni di ammissione alla Comunità (chiamata Yahad = l’Unità), le regole di condotta, di natura essenzialmente rituale, cui erano sottoposti i suoi membri, come pure le sanzioni cui di esponevano coloro che le infrangevano.  Si tratta di regole assai severe come le sanzioni. Per esempio, chi si addormentava nel corso di una assemblea era punito con trenta giorni di riduzione del cibo (1QS VII.10).

I membri della Comunità erano tenuti allo studio quotidiana della Torah. Erano tenuti anche a delle sedute di lettura per un terzo di ogni notte dell’anno (1QS VI.7). D’altronde è questo desiderio di studiare la Torah che li spinse forse a isolarsi nel deserto, alto luogo di spiritualità. Si legge infatti in 1QS VIII.13-14: «Quando in Israele si realizzeranno queste cose per la comunità, in base a queste norme saranno separati di mezzo al soggiorno degli uomini dell’ingiustizia per andare nel deserto a prepararvi la via di lui, come sta scritto: “Nel deserto preparate la via… appianate nella steppa una strada per il nostro Dio” (Is 15,3)» (I manoscritti di Qumran, a cura di L. Moraldi, UTET, Torino 1986, p. 160).

 

b. Regola della Guerra (1QM)

Questo testo, di ispirazione fortemente dualista, rappresenta una gigantesca battaglia escatologica, la cui durata sarà di quarant’anni, tra i Figli della Luce e i Figli delle Tenebre. Il suo significato apocalittico appare fina dalle prime righe del rotolo: «E questo è il libro della regola della guerra. L’inizio si avrà allorché i figli della luce porranno mano all’attacco contro il partito dei figli delle tenebre, contro l’esercito di Belial, contro la milizia di Edom, di Moab, dei figli di Ammon, contro gli Amaleciti e il popolo della Filistea, contro le milizie dei Kittim di Assur, ai quali andranno in aiuto coloro che agiscono empiamente verso il patto. I figli di Levi, i figli di Giuda e i figli di Beniamin, gli esuli del deserto, combatteranno contro di essi; contro tutte le loro milizie,allorché gli esuli dei figli della luce ritorneranno dal deserto dei popoli per accamparsi  nel deserto di Gerusalemme» (1QM I 1-3: Moraldi, cit., pp. 289-291).

Il modello dei figli della luce è  probabilmente la comunità stessa, mentre i figli delle tenebre sono l’insieme dei tradizionali nemici di Israele: Edom, Moab, Ammon, Filistei. Il testo descrive con un’infinità di dettagli le armi, gli stendardi, i vestiti dei guerrieri, le formazioni di battaglia, il tutto ricalcato sul modello romano. Lo scopo dell’opera era di rappresentare l’Onnipotenza del Signore che concede la vittoria finale ai figli della luce.

 

c. Commento a Abacuc (IQ p Hab)

Questo commento è un tipico esempio di lettura di un testo biblico come se riguardasse direttamente gli eventi dell’epoca. Qui l’autore interpreta sistematicamente i versetti del libro di Abacuc come prefigurazioni di venti contemporanei. Così, nei “Caldei, popolo empio e feroce” di Ab 1,6, egli vede i «Kittim che sono agili e forti in combattimento» (1Q p Hab II 11-12: Moraldi, p. 556), cioè i Romani. Tuttavia, questo commento è interessante perchéin una delle sue interpretazioni, menziona due personaggi emblematici, il Maestro di Giustizia e l’Uomo della Menzogna. Così, come interpretazione delle parole del profeta: «perché guardi i perfidi e taci quando il malvagio divora l’uomo che è più giusto di lui (Ab 1,13), si trova il seguente commento: «L’interpretazione si riferisce alla casa di Assalonne e ai membri del loro consiglio che tacquero durante la correzione del maestro di giustizia e non l’hanno aiutato contro l’uomo di menzogna che aveva ripudiato la legge in mezzo a tutta la loro assemblea» (1Q p Hab V 9-10: Moraldi, p. 560)

L’uomo di menzogna è probabilmente da identificare con il “Sacerdote empio” dello stesso commento e sul quale si trovano alcune precisazioni:

«Fu chiamato dal nome della verità all’inizio del suo ministero; ma quando esercitò il dominio su Isarele, il suo cuore si inorgoglì, abbandonò Dio, tradì i suoi statuti a causa delle ricchezze» (1Q p Hab VIII 9-10: Moraldi, p. 562); il sacerdote empio «ha perseguitato il maestro di giustizia… nella casa del suo esilio e al tempo della festa del riposo, nel giorno dell’espiazione (1Q p Hab XI 4-7: Moraldi, p. 566-567); Profanò il tempio di Gerusalemme (1Q p Hab XII 7) e finì per cadere nelle mani dei suoi nemici (1Q p Hab IX 9).

Diverse ipotesi sono state formulate a proposito del Maestro di giustizia e del Sacerdote empio. Secondo A. Dupont-Sommer, il Sacerdote empio sarebbe il sommo sacerdote asmoneo Ircano II, mentre il Maestro di giustizia sarebbe un contemporaneo di Ircano II e di Aristobulo II. Secondo E. Puech, il Sacerdote empio sarebbe Jonathan Maccabeo, che effettivamente fu celebrato come il iberatore degli ebrei dal giogo dei Seleucidi. Geza Vermes pensa che il frammento «Preghiera per il benessere del Re» (4Q 448), sia un inno alla sua gloria. Tuttavia, Jonathan non tarderà a soccombere alle sirene dell’ellenismo e finì per essere assassinato dall’usurpatore Trifone nel 142 a.C. Tutto questo quadra perfettamente con il profilo del Sacerdote empio, come di può leggere nel Commento ai Salmi (4Q 171, IV 10): «Diol o consegnerà nelle mani dei violenti delle nazioni perché eseguano un giudizio su di lui».

 

d. Inni di azione di grazia (Hodayot) 1QH

Questi inni presentano delle affinità sicure con i Salmi : cantano l’afflizione dell’uomo, il suo dolore, al sua speranza nel soccorso dell’Altissimo. In alcuni di essi traspare l’esperienza dolorosa personale di un personaggio che appare come il capo di una comunità di eletti. Alcuni commentatori non hanno esitato ad attribuirli allo stesso Maestro di giustizia.

Eccone alcuni estratti

1Q H II 21 : «i violenti hanno macchinato contro la mia vita, mentre io mi affidavo al tuo patto» (Moraldi, p. 368).

1Q H IV 8-9 «mi scacciano dalla mia terra come un uccello dal suo nido. Tutti i miei vicini e parenti furono allontanati da me, mi ritennero come uno strumento inetto» (Moraldi, p. 381).

1Q H VII 8: «Tu non hai permesso che io mi perdessi d’animo davanti al tuo patto, bensì hai fatto di me una torre solida, un muro elevato, hai stabilito su di una roccia il mio edificio e fondamenta eterne per la mia fondazione»

1Q H VII 21: «Tu mi hai posto come un padre per i figli della benevolenza, come un pedagogo per gli uomini del presagio… Tu hai innalzato il mio corno contro coloro che mi disprezzavano» (Moraldi, p. 402).

Anche nella Grotta 11 è stato anche trovato un rotolo di “salmi” (11Q Psa) che contiene sette salmi apocrifi e diversi salmi canonici. Una delle sorprese dei traduttori fu di incontrarvi il Salmo 151, 11Q05, che non figura nel Salterio canonico, ma che è stato conservato nella traduzione dei Settanta.

 

e. Il rotolo del Tempio (Meghillat Hammiqdash) 11QT.

Questo rotolo trovato dai beduini 1956 nella Grotta 11, ha conosciuto una certa fama per le vicende della sua acquisizione da parte di Yigael Yadin durante la guerra dei Sei giorni nel 1967. Si tratta del rotolo più lungo finora scoperto, con una lunghezza di circa nove metri.  

Descrive la visione di un tempio ideale sulla scia di Ezechiele e ne fornisce le misure e la regolamentazione dei sacrifici e delle feste. Si attiene grosso modo alle prescrizioni del Levitico e del Deuteronomio, ma con delle varianti che gli specialisti non hanno mancato di sottolineare. Così, per esempio, la comunità di Qumran conosce tre feste principali: le primizie del grano, del vino nuovo e dell’olio nuovo. Secondo Yigael Yadin, questo rotolo, che aiuta  comprendere meglio la dottrina dell’ebraismo primitivo, era un libro sacro degno di essere aggiunto come “sesto libro” al Pentateuco. Uno di questi versetti ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro, quello relativo all’appendere ad un albero, interpretato come una crocifissione:

«Quando in un uomo c’è un peccato che lo renda reo di morte ed egli si rifugi fra le nazioni e maledica il suo popolo e i figli di Israele, appenderete anche lui a un albero perché muoia» (11QT LXIV 10: Moraldi, p. 808).

“Appendere” significa probabilmente “crocifiggere”. Questo versetto attesta che la crocifissione era praticata dagli ebrei come forma di esecuzione. Da notare che nella Bibbia (Deut 21,21) solo un criminale già giustiziato, quindi morto, poteva essere appeso.

 

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