Il codice in papiro (tratto da Edoardo Crisci, I più antichi manoscritti greci della Bibbia. Fattori materiali, bibliologici, grafici, in: Forme e modelli della tradizione manoscritta della Bibbia, a cura di Paolo Cherubini (Littera Antiqua, 13), Città del Vaticano 2005, pp. 1-31)
Un dato indiscusso, ma difficile da spiegare, è il rapido e generale passaggio dal rotolo (volumen) al codice, fenomeno di cui sono protagonisti i cristiani. Secondo Metzger, se si considerano i manoscritti greci profani del II secolo, solo 14 su 871 sono codici, mentre tutti gli 11 papiri cristiani dello stesso periodo sono in forma di codice. Considerando i 172 manoscritti e frammenti biblici prima del 400 d.C., 158 provengono da codici, mentre 14 da rotoli. L’adozione del codice passa certamente attraverso una diversa dislocazione sociale del pubblico e dei destinatari rispetto al tradizionale contesto della circolazione libraria del mondo greco-romano. Secondo G. Cavallo, il pubblico cristiano è di modeste possibilità economiche e di modesta formazione intellettuale; ad esso si confà il codice, libro a buon mercato, della letteratura popolare, rispetto al rotolo, cui era affidata la grande arte letteraria apprezzata dalle classi colte e dalle élites intellettuali. Non va sottovalutato l’aspetto di funzionalità ed economicità legata alla finalità di divulgazione del messaggio cristiano e di sostegno pratico alla missione. Rispetto al rotolo (volumen), il libro (codex) presenta dei vantaggi:
Con questo non sembra giustificato il rapido e generale passaggio dei cristiani al codice, per il quale bisogna pensare a motivi aggiuntivi di ordine ideologico e storico-culturale. La tesi di Roberts-Skeat fa riferimento a una auctoritas che avrebbe avuto un ruolo decisivo nell’imporre l’uso del codice. Ad es. la redazione su codice di pergamena del vangelo di Marco in ambiente romano e divulgato dalla chiesa di Alessandria; oppure l’uso in ambiente antiocheno di trascrivere su fogli singoli di papiro l’insegnamento di Gesù: messi insieme danno origine al codice. Secondo Skeat, la scelta del codice accompagna la formazione del canone dei vangeli: il codice, diversamente dal rotolo, consentiva di raccogliere insieme i quattro vangeli (il più antico codice che sicuramente conteneva i quattro vangeli era il Papiro Chester Beatty I, P45, del III secolo).
La scelta del codice à legata anche alla volontà cristiana di rimarcare la distanza dalla tradizione ebraica dell’AT: forma distintiva cristiana di editare i testi (compreso l’AT); il conservatorismo rabbinico mantiene la tradizione venusta del rotolo. Comunque le modalità delle prime forme di raccolta di testi (parzialità, frammentarietà, discontinuità) portano verso il codice. Aggiungendosi le funzionalità pratiche e la diffusione nel giro delle comunità, questo determina il decollo del supporto più adatto a tutto questo, facendo del libro il modello pressoché unico. Non mancarono comunque, nei primi tre secoli, rotoli, probabilmente anche per gli stessi vangeli. Cf. Acta martyrum Scilitanorum 12: «Quae sunt res in capsa vestra? Libri et epistulae Pauli viri iusti». La capsa era il contenitore dei rotoli. Alcuni dati percentuali risultano interessanti: tra I e III/IV secolo, dei libri con testi AT-NT e letteratura religiosa, il 24% è su rotolo, il 64,5% su codice di papiro e il 11,5% su codice di pergamena. Il rotolo scompare rapidamente e tra IV e V secolo si attesta su percentuali molto basse (AT: 6,8%; NT: 3,6%; letteratura patristica varia, preghiere, inni, agiografia: 13,5%).
Tra i più antichi codici cristiani ricordiamo: P. Ryl. III 457 (John Rylands Library, Manchester) (P52): primo quarto II secolo (Aland: 125), frammento di Gv. 18 (vedi riproduzione fotografica). Le dimensioni originarie dovevano essere mm. 213 x 180, con 18 righe per pagina su unica colonna di circa cm. 16 x 14. Vari papiri di Ossirinco; Papiro Egerton 2. Misure ipotizzate: tra 160/180 x 100/120. Skeat, valutando della medesima mano (e del medesimo codice) due frammenti di Mt. (uno a Barcellona e uno a Oxford) e quattro fogli di un codice di Parigi con Lc., ritiene che essi individuino il più antico codice a noi giunto con i quattro vangeli (fine II secolo). Alcuni codici in migliore stato di conservazione consentono di farsi un’idea più precisa di come doveva essere il libro cristiano nei primi secoli: P. Bodmer II (P66): Gv. 1-21: primi del III secolo; 75 fogli + 39 frammenti. Originariamente: 78 fogli per 156 pagine; dimensioni: mm. 162 x 142; scrittura a piena pagina (13 x 10); niente suddivisione (capitoli o paragrafi) né iniziali ingrandite; maiuscola posata, rotonda, non di scriba professionista, ma di uno che ha messo a disposizione le sue capacità. Una certa cura formale: ad es. fori agli angoli dei fascicoli per tracciare le linee verticali che delimitano la zona di scrittura. Il libro cristiano comincia ad avere una sua dimensione strutturale e formale pienamente funzionale: maneggevolezza, nitidezza e leggibilità. P. Chester Beatty II (P46): 10 epistole paoline. Chester Beatty (56 fogli) + Michigan University (30 fogli): 86 fogli, ma originariamente dovevano essere 104. Dimensioni: 270/280 x 160/170, quindi oblungo. Codice a fascicolo unico. Scrittura in piena pagina (200 x 120), da 25 a 31 righe (aumenta verso la fine, probabilmente per restare nel fascicolo). Impaginazione ariosa nei margini ampi e negli spazi interlineari; accurato incolonnamento e allineamento sul rigo. Sobrietà: non ci sono particolari accorgimenti grafici o decorativi; i titoli hanno gli stessi caratteri del testo. È un significativo esempio di assetto del libro cristiano fra II e III secolo, prima che l’età costantiniana e la nuova politica religiosa imponessero di ripensare la forma codice in base a nuovi parametri grafici, testuali, funzionali, producendo i grandi manoscritti biblici in pergamena in maiuscola biblica (il Sinaitico e il Vaticano: seconda metà del IV secolo). P. Chester Beatty I (P 45): 4 vangeli + Atti degli apostolo. Dimensioni: 250 x 200, quindi verso il quadrato. 222 pagine, 112 folgi; scittura in piena pagina. E’ il più antico codice in cui compaiono i vangeli (nell’ordine “occidentale”: Mt. Gv. Lc. Mc.) e gli atti. Datazione: F. Kenyon: prima metà del III secolo; G. Cavallo: fine III secolo.
Da queste testimonianze, si possono ricavare alcune considerazioni:
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© Luciano Zappella