Gli "effetti" letterari del Cantico dei cantici

 

 

Brunetto Salvarani

biblista, direttore di CEM Mondialità - Carpi

 

 

relazione tenuta alla Fondazione Serughetti La Porta nell'aprile 1993

 
 

"Studio l'ebraico, leggo la Bibbia. Alcune pagine, alcune parole mi hanno rivelato qualcosa della loro verità e mi hanno istigato a darne notizia. Non ho adattato il testo ad una interpretazione, ne sono stato invece piegato... La Bibbia è almeno una letteratura e il Dio di Israele è se non altro il più grande personaggio letterario di tutti i tempi".

La dichiarazione del giovane scrittore napoletano Erri De Luca (Una nuvola come tappeto, Feltrinelli, Milano 1991, p. 9) si presenta tanto perentoria quanto difficilmente contestabile poiché una parte assai consistente delle pagine di poesia e narrativa prodotte, almeno in Occidente, vede come protagonista, esplicito o chiaramente sottinteso, il Dio biblico. Ciò che sorprende, semmai, è che la teologia, soprattutto quella cristiana, non ne abbia realmente preso atto e che raramente abbia lavorato in modo cosciente sull'ipotesi della letteratura come luogo teologico.

Per la verità, le cose sono un po' cambiate, almeno in Italia, nel corso degli ultimi anni, soprattutto dopo la traduzione del volume del critico letterario canadese Northrop Frye, intitolato Il grande codice. La Bibbia e la letteratura, anche se già nel 1976 era possibile leggere, in un fascicolo di Concilium interamente dedicato all'argomento, una stimolante analisi di Jossua e Metz in cui si afferma: "Bisogna arrivare a chiedersi quale è il contributo che unicamente la letteratura può dare, cercare ciò che nessuna teologia concettuale saprebbe dire e che invece la letteratura esprime, a modo suo, con potenza". Il titolo del libro di Frye allude ad una felice considerazione di William Blake, secondo cui "l'Antico e il Nuovo Testamento sono il grande codice dell'arte", una sterminata unità testuale che ha dato forma -a livello di linguaggio, miti, metafore, schemi e tipologie- ad una porzione notevole della cultura; un prototipo e un deposito di creatività poetica e intellettuale che permette al mito biblico una persistente fecondità, la quale si manifesta attraverso nuove rimitizzazioni letterarie. L'analisi di Frye dimostra che il rapporto tra Bibbia e letteratura può essere inteso a vari livelli, e in modi diversi se analizziamo la teoria estetico-letteraria che da essa emerge, se riflettiamo sul fatto che essa si autopone, a sua volta, come prodotto letterario ed estetico, se, infine, consideriamo il testo sacro come generatore di letteratura e arte, per cui occorrerebbe -sulla linea ermeneutica tracciata da Paul Ricoeur e Hans Georg Gadamer- cimentarsi con la sua "Storia degli effetti" di senso (Wirkungsgeschichte). "Il discorso umano è infinito nel senso che in esso vi è sempre un'infinità di senso da sviluppare e interpretare" (H. G. Gadamer). La Parola di Dio -dice il Talmud- è come un martello che, percuotendo la roccia, fa scaturire una pluralità di scintille. E Gregorio Magno: la parola della Bibbia è un cubo dotato di molte facce.

In realtà, è evidente che i due termini in questione -"Bibbia" e "letteratura"- non sono innocenti o neutri, ma complessi e, per di più, intrinsecamente "plurali": basti considerare le differenze del canone all'interno delle diverse tradizioni religiose e la letteratura in quanto sistema, nel suo statuto costitutivo. "Tra questi due mondi, però, si è sviluppata una sequenza ininterrotta di comunicazioni e di collisioni, sia perché la Bibbia stessa si autopresenta come prodotto letterario, dotato di una sua specificità, sia perchè la letteratura di tutti i secoli si è ripetutamente abbeverata alla simbologia biblica come al suo referente principale" (G. RAVASI, s.v. "Bibbia e cultura" in Nuovo Dizionario di teologia biblica, Ed. Paoline 1988). I recenti sviluppi negli studi di linguistica e critica letteraria hanno dato il loro apporto anche all'esegesi biblica, la quale, evidenziando i punti interrogativi, le lacune o le ellissi che interrompono il filo del racconto, ha elaborato un nuovo metodo "narratologico" di comprensione dei testi, un metodo che, pur non eliminando gli altri approcci, non si limita ad uno studio puramente stilistico, procede pragmaticamente per induzione e, soprattutto, richiede il coinvolgimento attivo del lettore, il quale deve "risvegliare i racconti dal sonno in cui si trovano" (SKA, Narrativa ed esegesi biblica, in La civiltà cattolica 3387, agosto 1991).

La relazione tra Bibbia e letteratura è dunque molto più densa e ingombrante di ciò che potrebbe apparire, poiché non si esaurisce nella trama, senz'altro significativa, della relazione tra deposito e prestito, tra causa originaria ed effetto, tra matrice e copia. La letteratura, infatti, evitando l'uso apologetico e moraleggiante della Scrittura e allontanandosi dall'illustrazione del suo contenuto dogmatico e del suo "senso oggettivo", rielabora e trasforma la narrazione biblica, ce la restituisce gravida di nuovi interrogativi e di nuove versioni, la trasforma, la interpreta, la "tradisce", la piega alle esigenze del presente, ce la ripropone in forma nuova.

La direzione dunque non è solo quella semplice e lineare che procede dalla Bibbia verso la letteratura, ma quella, senz'altro più accidentata e problematica, che crea una circolarità tra il testo antico e le sue interpretazioni narrative e letterarie e che quindi riporta nuovamente il lettore al punto di partenza, al cuore della Scrittura stessa.

 

1. Il Cantico nel canone ebraico e cristiano: una presenza ingombrante

Perché il Cantico si trova nella Bibbia? Secondo Paolo De Benedetti, c'è stato un grandioso tentativo, sia da parte cristiana sia da parte ebraica, di adattare il Cdc al posto che occupa, rileggendolo per lo più in chiave allegorica e simbolica. Per inciso, ricordo che, mentre le chiese e le sinagoghe facevano di tutto per "travestire" il Cdc al fine di farlo apparire come un'opera "pia", un coraggioso protagonista della Riforma, il Castellione, nel Cinquecento trasse l'unica conclusione che allora si poteva trarre rifiutando il lavoro di addomesticamento: secondo lui il Cdc è una raccolta di canti profani che, in quanto tale, va tolta dalla Bibbia.

Ma il dibattito nasce molto prima, almeno dal sinodo di Yavne (100 ca e.v.), quando i rabbini si chiesero per quale ragione il Cdc dovesse essere introdotto nel canone delle Sacre Scritture. In tale occasione, fu rabbì Aqibà, morto martire ad opera dei Romani verso il 135, a sostenere: "In Israele nessuno ha mai contestato che il Cdc sporca le mani, perché il mondo intero non vale il giorno in cui è stato dato ad Israele il Cdc". Commenta in proposito Enzo Bianchi: "Rabbi Aqibà diceva che il mondo aveva raggiunto il suo senso quando apparve la rivelazione del Cdc e aveva ragione, perché quale senso potremmo dare al mondo senza conoscere pienamente il mistero dell'amore di Dio per gli uomini, il mistero della venuta di Dio tra noi che il Cdc profeticamente annuncia? È vero che le immagini del Cdc sono sensuali, descrivono colloqui d'amore, esaltano i baci e gli amplessi sessuali, ma nella prospettiva fondamentale dell'Antico Testamento la sessualità, con le sue molteplici manifestazioni, è un beneficio, una cosa buona che va esercitata nell'ambito dell'economia del dono, la dove la Torà autorizza: in questo caso può essere segno di una realtà che la trascende, quella dell'amore di Dio, sposo geloso ed amante vigoroso del suo popolo" (Lontano da chi , p. 26).

 

2. Per una "storia degli effetti" letterari del Cantico

Il Cdc costituisce senza dubbio una delle presenze bibliche più costanti e significative all'interno della storia della letteratura mondiale: per il suo repertorio simbolico e per l'universalità del suo motivo centrale (l'eros e la passione amorosa), in cui desiderio, sogno e realtà si intrecciano con forza, tanto che R. Musil (autore de L'uomo senza qualità) diceva: "Non c'è nulla di più bello del Cdc".

Essendo impossibile ripercorrere l'universale amoroso nelle varie letterature, ci soffermeremo su alcuni esempi significativi, che riguardano:

a) la letteratura italiana delle origini

b) la letteratura moderna e contemporanea

c) la letteratura ebraica

d) D. Bonhoeffer

Prima però vorrei proporre due riflessioni, una di Francesco De Sanctis e l'altra di Giacomo Leopardi. "Il primo linguaggio dell'uomo fu la lirica. E qui cominciai il mio corso (...) Mi fermai molto sulla lirica ebraica, esaminando in specie il libro di Giobbe, il canto di Mosè dopo il passaggio del mar Rosso, i Salmi di Davide, la Cantica di Salomone, i canti dei profeti, specialmente dìIsaia (...) Gittai l'occhio sopra il libro di Giobbe. Rimasi atterrito. Non trovavo nella mia erudizione classica niente di comparabile a quella grandezza (...) Preso l'aire, ci immergemmo in quegli studi. Furono molto gustati la Cantica e un salmo di Davide, dove dalla contemplazione delle cose create si argomenta la potenza e la grandezza del Creatore (...) Era per noi un viaggio in terre ignote e lontane (...) Mi meraviglio come nelle nostre scuole, dove si fanno leggere tante cose frivole, non sia penetrata un'antologia biblica, attissima a tener vivo il sentimento religioso, ch'è lo stesso sentimento morale nel suo senso più elevato" (La giovinezza).

"Nella Bibbia bisogna considerare l'immaginazione orientale e l'immaginazione antichissima. Ben attese e pesate e valutate quanto si deve queste due qualità che nella Scrittura si congiungono, niuno più si farà maraviglia della straordinaria forza ch'apparisce ne' Salmi, ne' Cantici, nel Cantico, ne' Profeti, nelle parti e nelle espressioni poetiche della Bibbia, alla quale forza basterebbe una sola di dette qualità" (Zibaldone di pensieri).

 

a) Letteratura italiana delle origini

In DANTE c'è una lettura allegorica del Cdc, come del resto era tipico della cultura del suo tempo.  Nel Convivio e nel De Monarchia la "sposa" è identificata con la Chiesa. In particolare, Convivio II,14,19-20 riprende Cdc 6,7-8: "Sessanta sono le regine e ottanta le amiche concubine; e de le ancille adolescenti non è numero: una è la colomba mia e la perfetta mia". La "colomba mia" e "perfetta" è, per Dante, la teologia; le altre scienze corrispondono alle "concubine" e alle "ancille" del Cdc, che Dante definisce "regine", "drude", e "ancille". Se poi si prende in considerazione il passo di Purgatorio XXX,10-12.19

                                   "e un di loro, quasi dal ciel messo,

                                   «Veni, sponsa, de Libano» cantando

                                   gridò tre volte, a tutti li altri appresso. (...)

                                   Tutti dicean: «Benedictus qui venis!»" (Mt 21,9)

quasi tutti i commentatori sono concordi nel vedere in colui che grida (uno dei 24 seniori dell'Apocalisse) Salomone, il tradizionale autore del Cdc; egli grida tre volte, proprio come nel Cdc dove viene ripetuto tre volte: "Vieni dal Libano, mia sposa (in ebraico: fidanzata), vieni dal Libano, vieni..." (4,8). Dall'interpretazione di Erich Auerbach (Studi su Dante) in poi, la critica è abbastanza concorde: secondo una lettura profetico-escatologica, la "sponsa" è la Chiesa che vive nell'attesa del suo sposo, Cristo, ma è anche Beatrice, la quale è riproduzione del Cristo e rispecchiamento del suo ruolo: la salute/salvezza dell'amore di carità.

Nel Canzoniere di Guido CAVALCANTI (1255ca.-1300) ci sono non meno di 70-75 allusioni scritturistiche. Per quanto concerne il Cdc, nel sonetto

                                               "Chi è questa che vén, ch'ogn'om la mira,

                                               Che fa tremar di charitate l'âre,

                                                E mena seco Amor..." (vv.1-3)

c'è un chiaro riferimento a Cdc 8,5 ("Chi è colei che sale dal deserto, appoggiata al suo diletto?", ma si veda anche 3,6). Molto evidente anche la sequenza dei paragoni naturali di Cdc 6,10 ("Chi è costei che sorge come l'aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiere a vessilli spiegati?"), che si può ritrovare nel sonetto Avete 'n vo' li fior e la verdura

                                               "risplende più che sol vostra figura" (v.3)

e nel sonetto Biltà di donna e di saccente core

                                               "e cavalieri armati che sien genti" (v.2).

A proposito di Cdc 2,7 ("Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle o per le cerve dei campi") e 2,9 ("Somiglia il mio diletto a un capriolo o ad un cerbiatto"), è interessante notare come Francesco PETRARCA paragoni Laura ad una candida cerva apparsagli "sopra l'erba verde con due corna d'oro" (sonetto CXC) e ad "una cerva errante e fuggitiva" (sonetto CCXII).

 

b) Letteratura moderna e contemporanea

La figura di Margherita del Faust di Johann Wolfgang GOETHE (1749-1832) presenta dei lineamenti simili alla donna del Cdc. Per esempio:

                                               "Questa è la voce del mio amato!

                                               Dov'è? Ho sentito che chiamava.

                                               Sono libera. Nessuno può fermarmi.

                                               Voglio correre tra le sue braccia,

                                               Rifugiarmi nel suo petto!

                                               Chiamava: Margherita! Sulla soglia era, là...

                                               La voce cara, l'accento suo dolce, l'ho riconosciuto".

Interessante anche un passo delle Epifanie di James JOYCE (1882-1941): "Per un attimo il braccio di lei mi sfiora il ginocchio e poi si ritrae, e i suoi occhi me l'hanno rivelata -segreta, virile, un giardino murato [Cdc 4,12]- per un attimo. Ricordo un'armonia di rosso e di bianco [Cdc 5,10] creata per una come lei, per dire i suoi nomi e i suoi splendori, per ingiungere di levarsi, come per nozze [Cdc 2,10.13], e di venir via, per ingiungerle di volgere gli occhi, novella sposa, "da Amana e dalle montagne dei leopardi" [Cdc 4,8]. E ricordo quella risposta che assommava in sé la perfetta dolcezza del corpo e dell'anima con tutto il suo mistero: Inter ubera mea commorabitur [Cdc 1,13]".

Nella Lettera a un giovane cattolico (1961), Heinrich BOLL (1917-1985) prende spunto dal Cdc per sollecitare una "teologia della tenerezza", assente nel cristianesimo di oggi: "Ciò che fino ad oggi è mancato ai messaggeri del cristianesimo di ogni provenienza è la tenerezza: tenerezza verbale, erotica, sì, persino teologica", dice un giovane; e Böll risponde: "Non è vero che i messaggeri del cristianesimo non abbiano mai avuto tenerezza: il Cdc è stato pure letto nella Chiesa e, accanto a Benedetto, a Francesco, a Giovanni della Croce, ci sono state Scolastica, Chiara e Agnese, Teresa". E poi ancora: "L'amore carnale è la materia di un sacramento e io provo per esso il medesimo rispetto che ho per il pane non consacrato, in quanto materia di un sacramento. La divisione dell'amore in amore cosiddetto carnale e un altro spirituale è discutibile, fors'anche inammissibile. Non c'è mai un amore puramente carnale, mai un amore puramente spirituale. Ognuno di essi contiene sempre qualcosa d'altro, sia pure in parte minima. Noi non siamo puro spirito né pura materia e forse gli angeli ci invidiano la perpetua fusione dei due elementi".

In quella straordinaria raccolta di poesie che sono i Canti ultimi (Milano 1991, 185-199) di David Maria TUROLDO c'è una sezione riservata al Cdc, intitolata "La sublime allegoria". Essa è introdotta da una curiosa premessa che rende il Cdc una specie di "risposta a Qoelet": "Nelle Scritture, al libro di Qoelet stranamente segue il Cdc. Indipendentemente da qualsiasi intenzione, ciò non potrebbe nascondere un seducente significato? Perché «la poesia non racconta ma suggerisce»" (p. 187). Questa sezione infatti riappare in una trilogia poetica postuma di Turoldo dal titolo Mie notti con Qoelet (Milano 1992, 45-57). Essa unisce tre riprese che il poeta friulano fa di altrettanti testi biblici capitali, Qoelet, Cantico e Giobbe, secondo un nuovo, affascinante percorso lirico e spirituale. Propongo la sequenza integrale dei testi turoldiani che "cantano" il Cdc, in contrappunto al "Nulla" e alla "Ragione" di Qoelet. E' una stupenda "rinascita" del Cdc su altri campi fioriti, ma anche striati dal fuoco e dal sangue.

                                               "«Mi baci con i baci della sua bocca»:

                                               così esplode il Cantico, o Qoelet:

                                               attesa vendetta al tuo libro del Nulla?

                                               Tu sai, o Donna, che alla tua voce

                                               verdeggiano i deserti:

                                               di valle in valle il vento la propaga

                                               e anche dalle tombe la eco risponde.

                                               Ma se il bacio è segno dell'unica Fame,

                                               che lo stesso Amato incendia,

                                               allora scampo non v'è per nessuno.

                                               Voluttà di distruzione è il bacio,

                                               desiderio di essere consumato

                                               senza che nulla avanzi:

                                               e dal fondo del gioco

                                               il Nulla riappare.

                                              

                                               Ma lascia che canti insieme a te, Amica,

                                               e dall'amaro stillicidio mentale ci salvi

                                               la sublime allegoria.

                                              

                                               Spento finalmente ogni altro fuoco,

                                               nel Tempio, fattosi ora silente,

                                               si adunino le gloriose Immagini:

                                               e l'arida steppa intorno

                                               riprende a fiorire

                                               mentre tu guidi la danza.

                                               Non chiedo di assidermi al vostro banchetto,

                                               non è per me -ho cantato- un'avventura sì grande,

                                               sapermi una voce del Coro è già dono

                                               che placa tutte le attese:

                                               ciò che più chiedo è una mente

                                               luminosa e serena.

 

                                               Nel mentre mi inebriano

                                               i racconti dei vostri amori,

                                               un'ombra ancora mi fascia il cuore

                                               come una sindone.

                                               Nessuno aggiunga parole

                                               a quanto tu hai cantato;

                                               anche tu non dirmi altro

                                               delle vostre infinite ebbrezze.

                                               Non dirmi delle sue tenerezze,

                                               non dirmi dei suoi occhi come colombe

                                               lungo ruscelli di acque;

                                               delle sue labbra voraci,

                                               dei suoi denti bagnati nel latte;

                                               e le sue gambe colonne di alabastro

                                               su piedistalli d'oro, non dirmi,

                                               non dirmi del suo corpo divino.

 

                                               Parlami invece dei tuoi assolati meriggi,

                                               quando Lui non c'era, né sapevi

                                               dove andava a pascere il gregge.

                                               Parlami delle tue arsure e come

                                               anche tu te ne andavi randagia

                                               quando non si faceva trovare:

                                               anche a pieno giorno, a sole alto,

                                               non vedevi dove tenesse il suo pascolo

                                               e andavi dietro le greggi di tutti.

                                               Parlami delle tue notti desolate,

                                               delle buie notti, quando dal letto

                                               lo chiamavi invano, o andavi

                                               per tutta la città, e cercavi,

                                               cercavi senza trovarlo:

                                               oh, questo infinito e furioso

                                               cercare...!

 

                                               Ti fermava la ronda nel cuore della notte,

                                               tu chiedevi: Avete visto il mio amore?

                                               Dovevi superare le guardie,

                                               andare oltre,

                                               se volevi trovare il tuo Amore.

 

                                               A volte in piena notte veniva

                                               a bussare alla porta:

                                               ti chiedeva, con quella sua voce, di aprirgli,

                                               e tu, già levata la tunica,

                                               andavi ad aprire:

                                               le tue dita grondavano mirra

                                               sulla maniglia del chiavistello:

                                               ma Lui,

                                               Lui era già

                                               svanito nella notte.

 

                                               Di questo parlami a lungo, Amica,

                                               allora mi sentirò meno escluso

                                               e lontano.

 

                                               Donna, forma estrema del Sogno,

                                               anima del mondo,

                                               Tu sei il grido della Creazione.

 

 

c) letteratura ebraica

Passiamo ora a Sholom Aleichem (1859-1916), pseudonimo ("Pace a voi") di Sholom Rabinowitz, considerato il "patriarca" e il "genio naturale" della letteratura jiddish. Egli ci ha lasciato una vivace autobiografia romanzata dei suoi primi anni nell'opera Tornando dalla fiera (Milano 1987), ove si narra della sua nascita in Russia, delle sue avventure di insegnante di russo e di giovane rabbino governativo. Si sposerà poi con la figlia di un ricco proprietario terriero, potendosi così consacrare solo alla letteratura, almeno a partire dal 1900. Ma il "pogrom" di Kiev del 1905 lo costringerà a girovagare per Europa e Stati Uniti, ove morirà nel 1916. Nella citata (incompiuta) autobiografia egli scrive in premessa: "Miei cari, amatissimi figli, dedico a voi il libro dei miei libri, il Cantico dei Cantici dell'anima mia" (p. 17).

Ecco un altro passo dello stesso romanzo in cui si descrive l'innamoramento del protagonista. "Bastò uno sguardo di quegli occhi stupendi di Sulammita perché il ragazzo venisse incendiato del sacro fuoco della passione amorosa. Sì, la Sulammita del Cantico dei cantici. Solo lei aveva quegli occhi divini. Soltanto lei aveva il potere di penetrarvi nell'anima con quegli occhi pervasi di dolcezza e di amore... Allora avrebbe varcato la soglia della casa di Rosa (l'amata) e le avrebbe detto nel linguaggio del Cantico: Ritorna, ritorna, o Sulammita! Volgiti a me per un istante e ascoltami mentre suono il violino" (p. 123 e 125).

Anche in un altro testo, la novella surreale La coppia, Aleichem scrive di due innamorati: "Erano, a tutti gli effetti, un'anima sola. Lei gli si rivolgeva con un «Amor mio» al quale egli rispondeva con «Anima mia»" (Il meglio dei racconti jiddish, a cura di I. HOWE-E. GREENBERG, Milano 1985, p. 147). Ma Sholom ha composto anche un racconto dal titolo emblematico Una pagina del Cantico dei cantici, che fa parte di un gruppo di racconti destinati a un pubblico infantile e che è ambientato nella festa di Pasqua. È la descrizione dei sentimenti delicati del protagonista, un ragazzino, nei confronti di Buzie, una sua bella coetanea. Tutto il dialogo e la descrizione sono ritmati sul Cdc. Ecco alcune battute:

"Guardo Buzie e mi ricordo il Cdc che ho studiato con il mio rabbino prima di Pasqua. verso dopo verso mi torna alla mente: «Ecco, tu sei bella, mia amata, sei bella; i tuoi occhi simili a colombe, i tuoi capelli a un gregge di pecore che discende dai monti di Gilead. I tuoi denti sono simili ad un gregge di bianchi agnellini che salgono dal fiume, tutti uguali; li ha partoriti la stessa madre. Le tue labbra sono come un filo di seta scarlatta; le tue parole sono colme di dolcezza». Perché quando guardo Buzie mi viene in mente il Cdc? Perché quando si studia il Cdc Buzie entra nei miei pensieri?... Con uno stridio e un frullare d'ali una linea diretta di rondini vola sulle nostre teste e di nuovo mi ricordo del Cdc: «I fiori appaiono sulla terra; è venuto il tempo del canto degli uccelli e si ode il verso della tortora nel nostro paese»... I tronchi d'albero ammucchiati presso la nostra porta sono i cedri e i cipressi del Cdc. Il gatto che se ne sta sulla soglia scaldandosi al sole è un cerbiatto o un giovane cervo del Cdc. Le donne e le ragazze che lavorano fuori di casa, lavando e pulendo tutto per la festività pasquale, sono le figlie di Gerusalemme. Tutto, tutto è come nel Cdc" (op. cit., p. 405-411).

Il Cdc compare spesso anche nella produzione di Isaac B. SINGER (1904-1991) per sottolineare le diverse ermeneutiche del testo: per la tradizione dei padri, una rivelazione della shekinah divina, per gli ebrei illuministi una semplice ballata d'amore. "I nostri padri e i nostri nonni identificavano il Cdc con l'Onnipotente, con la Divina Presenza, con Israele, mentre gli illuministi ce la mettevano tutta per dimostrare che era una semplice ballata d'amore" (Il penitente, p. 108).

In Forte come la morte è l'amore (un racconto tratto da L'immagine) si richiama Cdc 8,6: "Se una persona si ficca in testa un'idea, questa comincia a crescere e a occupare tutto il cervello. Diventa un'ossessione. Si potrebbe persino definirla un dybbuk (uno spettro malefico). Avevano un'unica anima tutti e due, lui e lei [si tratta di Elisa e Chwalski]. Se c'è un Paradiso dei gentili, sono sicura che riposeranno là per sempre. Come sta scritto nel Libro Sacro: «Forte come la morte è amore, dura come la tomba la gelosia»" (p. 84).

Lo stesso passo echeggia nel racconto Lui, lei e l'altro, della raccolta Una corona di piume (Milano 1985): "Ci sono emozioni che soltanto la poesia può esprimere. Prova a immaginarti il Cdc in altra forma! Ma è cosa obsoleta: «L'amore è forte come la morte. La gelosia è crudele come la tomba»" (p. 188). E nel racconto Lo scherzo del volume un amico di Kafka (Milano 1987) "l'ultima lettera d'amore" del protagonista "era semplicemente un cantico, il Cdc" (p. 217).

Per concludere, ecco il ritratto di un rabbino santo, tratto da La proprietà: "Una volta era accaduto che Mendel aveva raccolto il cuscino di una poltrona si cui il rabbino santo era stato seduto mentre recitava il Cdc. Il cuscino era così caldo che Mendel si era scottato. Mendel giurava che, nel buio, la faccia del rabbino emanava una pallida luce... Tutti coloro che entravano nello studio del rabbino erano concordi su una cosa: il suo corpo odorava di mirto e di garofano, gli aromi del giardino dell'Eden".

 

d) Dietrich Bonoeffer

Perché Bonhoeffer (pastore luterano, nato nel 1907 e morto martire nel campo di concentramento di Flossenburg) a parte e in conclusione? Perché la sue lettere (raccolte in Resistenza e resa) sono letteratura che ha largamente influenzato la teologia e per la loro importanza nell'affermazione di un cristianesimo giocato sulla sensibilità del Cdc. Di queste lettere, riporterò alcuni esempi.

"Del Cdc ti scriverò in Italia. In effetti lo vorrei leggere come un cantico d'amore terreno. Probabilmente questa è la migliore interpretazione «cristologica». Devo riflettere ancora su Ef. 5" (lettera del 2 giungo 1944 all'amico Eberhard Bethge).

"È però il pericolo di ogni forte amore erotico che per esso si perda, vorrei dire, la polifonia della vita. Intendo dire questo: Dio e la sua eternità vogliono essere amati con tutto il cuore; non in modo che ne risulti compromesso o indebolito l'amore terreno, ma in un certo senso come Cantus firmus, rispetto al quale le altre voci della vita suonano come contrappunto; uno di questi temi contrappuntistici, che hanno la loro piena autonomia e che sono tuttavia relazionati al Cantus firmus, è l'amore terreno; anche nella Bibbia c'è infatti il Cdc e non si può veramente pensare amore più caldo, sensuale, ardente di quello di cui esso parla (cfr. Cdc 7.6). È davvero una bella cosa che appartenga alla Bibbia, alla faccia di tutti coloro per i quali lo specifico cristiano consiste nella moderazione delle passioni (dove esiste mai una tale moderazione nell'Antico Testamento?). Dove il Cantus firmus è chiaro e distinto, il contrappunto può dispiegarsi con il massimo vigore" (lettera del 20 maggio 1944).

Con la sensibilità dell'autore del Cdc, infine, Bonhoeffer scrive: "Credo che dobbiamo amare Dio e avere fiducia in lui nella nostra vita e nel bene che ci dà in una maniera tale che quando arriva il momento -ma solo allora- andiamo da Lui ugualmente con amore, fiducia, gioia. Ma -per dirla franca- che un uomo fra le braccia di sua moglie debba avere nostalgia dell'al di là è, a dir poco, mancanza di buon gusto e comunque non volontà di Dio".

 
 

 

 

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