Il Cantico come rendimento di grazie

di Fra Cesare Vaiani o.f.m.

 

Il Cantico delle Creature non solo è un testo importante ma è anche uno dei più bei testi all’interno degli scritti di Francesco. Per noi italiani è un testo al quale ci avviciniamo con molte pre-comprensioni anche perché lo abbiamo studiato a scuola. La letteratura italiana in un certo modo inizia proprio dal Cantico delle Creature che è il primo testo importante da un punto di vista letterario. Questa considerazione comune può talvolta far perdere di vista che il Cantico oltre ad essere un testo poetico è anche una preghiera, si rivolge infatti all’Altissimo onnipotente bon Signore ed è quindi una lode a Dio.

Essere un testo di letteratura, poesia e preghiera, sono diverse e buone valenze del Cantico. La prospettiva con cui lo guardiamo in questo mio intervento è quella teologico spirituale che ne analizza il significato cristiano. Non ho la pretesa di commentarlo compiutamente perché richiederebbe molto tempo e neppure di richiamare una bibliografia immensa sul tema del Cantico, proprio perché la biografia è sul carattere letterario e poetico del testo

Dico solo due parole sul contesto di composizione: numerose sono le testimonianze a favore dell’autenticità, non si trova nessuno che ne neghi l’attribuzione a Francesco, anche se ci sono discussioni sul contesto di composizione. Nella prima biografia di Francesco, scritta due anni dopo la sua morte, l’autore, che è Tommaso da Celano, ha dei passaggi che illustrano l’amore di Francesco per le creature e in quel contesto accenna alla composizione del Cantico ed è lui che dice: «Chi potrebbe descrivere il suo ineffabile amore per le creature di Dio, con quanta dolcezza contemplava in esse la sapienza, la potenza, la bontà del Creatore,proprio per questo motivo quando mirava il sole, la luna e le stelle del firmamento il suo animo si inondava di indicibile gaudio….come un tempo i tre fanciulli gettati nella fornace ardente invitavano tutti gli elementi a lodare e glorificare il Creatore dell’universo così quest’uomo ripieno dello Spirito di Dio non si stancava mai di glorificare, lodare e benedire in tutti gli elementi e in tutte le creature il Creatore e reggitore di tutte le cose….Chiamava tutte le creature con il nome di fratello e sorella».

Avevo un compagno di studi americano che fece la sua tesi di dottorato in teologia sui racconti degli animali nell’agiografia prima di Francesco. Aveva indagato le agiografie di santi medioevali in cui si parlava di animali e mise a fuoco la vera novità di Francesco che è quella di chiamare fratello e sorella anche le creature, perché prima di Francesco gli altri santi hanno avuto solo  rapporti di dominio sugli animali e mai li hanno considerati alla pari.

Continua il Celano: «Chiamava tutte le creature con il nome di fratello e sorella intuendone i segreti in modo mirabile e noto a nessun altro perché aveva conquistato la libertà della gloria riservata ai figli di Dio». Il Celano attribuisce questo atteggiamento alla libertà della gloria dei figli di Dio citando S. Paolo.

Anche le altre biografie scritte nei decenni seguenti narrano episodi significati riguardo la composizione del Cantico, ma i testi più significativi sono quelli della Leggenda Perugina che nella nuova edizione delle Fonti viene chiamata Compilazione d’Assisi, che narra le circostanze di composizione. È un racconto interessante: «Il beato Francesco soggiornò a san Damiano per cinquanta giorni e più». Siamo negli ultimi anni della vita del santo, Francesco dopo l’episodio delle stimmate a La Verna ormai è molto malato: «non essendo in grado di sopportare di giorno la luce naturale né durante la notte il chiarore del fuoco stava sempre nell’oscurità in casa e nella cella, soffriva notte e giorno così atroce dolore agli occhi che quasi non poteva riposare e dormire e ciò accresceva e peggiorava queste e le altre sue infermità» (F.F. 1591). Sullo stato di salute di Francesco negli ultimi anni di vita abbiamo diverse informazioni, c’è un medico che ha scritto un libro intitolato “Francesco malato e santo” in cui dalle informazioni che si trovano nelle biografie, evidentemente con un linguaggio medioevale, dice che fondamentalmente due erano i problemi dal punto di vista della salute: da una parte il fegato e per asimmetria il pancreas, era affetto da idropisia che è ciò che noi oggi chiamiamo ascite. Sei mesi prima della morte, a Siena, ebbe sbocchi di sangue che fecero temere la sua morte, si trattava di varici esofagee che sono tipiche delle malattie del fegato; oggi abbiamo una terminologia appropriata, all’epoca descrivevano che gli si gonfiava il ventre ecc. L’altra malattia che lo colpì negli ultimi anni, di ritorno dal viaggio in Oriente, fu una malattia agli occhi che lo fece molto soffrire, si parla di tracoma, cercarono di curarlo con la cauterizzazione delle tempie perché secondo i principi della medicina dell’epoca , visto che gli occhi di Francesco lacrimavano in continuazione, producevano cioè umori liquidi, bisognava seccare alla base, per cui usavano un ferro rovente dall’occhio fin sopra l’orecchio che probabilmente ha solo peggiorato il tutto.

«Se talvolta voleva riposare e dormire la casa e la celletta dove giaceva erano talmente infestate dai topi che saltellavano e correvano sopra di lui che gli riusciva impossibile prendere sonno e lo disturbavano durante l’orazione. Non solo di notte ma anche di giorno persino quando mangiava gli salivano sulla tavola. Sia lui che i compagni pensavano che questa fosse una tentazione del diavolo e lo era di fatto» (F.F. 1591). Non era così normale pur con le condizioni igieniche medioevali questa invasione di topi. «Una notte riflettendo il beato Francesco alle tante tribolazioni che aveva fu mosso a pietà verso a sé stesso, e disse in cuor suo:< Signore vieni in soccorso delle mie infermità affinché io sia capace di sopportarle con pazienza>, e subito gli fu detto in spirito: Fratello dimmi se uno in compenso delle tue malattie e sofferenze ti donasse un grande e prezioso tesoro come se la terra fosse oro puro e le pietre pietre preziose e l’acqua fosse tutta balsamo non considereresti tu tutte queste tribolazioni come un niente a paragone di un grande e prezioso tesoro che ti verrebbe dato?Non ne saresti molto felice? Rispose il beato Francesco Signore questo sarebbe un tesoro veramente grande ed inestimabile, prezioso, amabile e desiderabile, e gli disse allora:< Fratello rallegrati, giubila nelle tue infermità e tribolazioni e d’ora in poi vivi nella serenità come se tu fossi già nel mio regno>» (F.F. 1591). Una consolazione divina in un contesto di sofferenza, fa impressione pensare che il Cantico che loda frate focu, il sole, la luna, le stelle è pensato e composto da un uomo che ormai la luna e le stelle non le vedeva più e che soffriva ogni volta che vedeva la luce. Questo contesto di una consolazione di Dio, di una certezza di una beatitudine eterna muove Francesco a dire: «Voglio quindi a lode di Lui e a mia consolazione e per edificazione del prossimo comporre una nuova Lauda del Signore a riguardo delle sue creature. Ogni giorno usiamo delle creature, senza di loro non possiamo vivere e in esse il genere umano molto offende il Creatore. E ogni giorno ci mostriamo ingrati per questo grande beneficio e non ne diamo lode come dovremmo al nostro Creatore e datore di ogni bene. E postosi a sedere si concentrò a riflettere e poi disse: Altissimo, onnipotente, bon Signore...» ( F.F. 1592).

Si mette a sedere, si concentra e dice: Altissimo…C’è dietro a tutto questo un modo di pensare, di dettare, di scrivere, un rapporto con il testo del Cantico molto diverso da quello che abbiamo noi oggi, c’è l’uso fortissimo della memoria propria degli autori medioevali, noi prenderemmo un foglio cominceremmo a scrivere poi a cancellare, poi riscriveremmo ecc. tutta una elaborazione che anche Francesco fece, ma nella testa. Erano abituati a non avere carta, - materiale prezioso in pergamena - e molto più abituati a ritenere a memoria. In Francesco ciò è molto evidente quando cita i versetti dei Salmi, e non perché andasse a confrontarli ma perché tutto questo materiale, che poi si trovava nella liturgia, lo imparò a memoria. Nelle chiese medioevali al centro del coro dove stavano i religiosi, vi era nel mezzo un grande leggio sul quale stavano i testi propri della festa del giorno, i testi comuni, cioè i salmi, li sapevano a memoria perché nessuno possedeva il breviario, il costo degli amanuensi era troppo elevato, per cui tutte le parti ordinarie era assolutamente normale conoscerle a memoria. Anche Francesco abituato a questo, postosi a sedere si concentrò a riflettere e disse: Altissimo onnipotente bon Signore.

Costruì poi anche una melodia che insegnò ai suoi compagni, ne fece un canto. Purtroppo la melodia è andata persa, sul codice più antico che lo riporta, il 338 della Biblioteca d’Assisi, ci sono degli spazi che probabilmente erano per le note.

«Il suo spirito era immerso in così gran dolcezza e consolazione che voleva mandare a chiamare frate Pacifico – che nel secolo veniva detto il re dei versi, ed era gentilissimo maestro di canto – e assegnarli alcuni frati buoni e spirituali, affinché andassero per il mondo a predicare e lodare Dio.

Voleva che dapprima uno di essi, capace di predicare, rivolgesse al popolo un sermone, finito il quale, tutti insieme cantassero le Laudi del Signore, come giullari di Dio. Quando fossero terminate le Laudi, il predicatore doveva dire al popolo: Noi siamo giullari del Signore, e la ricompensa che desideriamo da voi è questa: che viviate nella vera penitenza» (F.F. 1592).

Come i giullari andavano in giro cantando ed elemosinando, così i frati cantavano e chiedevano in ricompensa la conversione.

La strofa del perdono e quella della morte sembrano essere state composte più tardi. La strofa del perdono fu scritta nel contesto della lite tra il Vescovo e il Podestà, Francesco si sentì in dovere di intervenire. Noi, per sanare una lite tra due, li chiameremmo e ascoltate le ragioni di ciascuno cercheremmo un accordo, Francesco intelligentemente sa che questo non è un buon metodo, così li fa chiamare e fa cantare il Cantico con la strofa del perdono. Dietro a questa intuizione c’è l’idea che dai problemi non se ne viene fuori se non guardando un po’ più in alto. Solo se i due si mettono in una prospettiva diversa riusciranno ad intendersi.

La strofa della morte, composta poco prima della sua stessa morte, è un testo incredibile: Laudato sii, mì Signore per sora nostra  morte corporale, incredibile nel riuscire ad arrivare a lodare Dio per la morte.

C’è un po’ di discussione ultimamente sulle circostanze di composizione del Cantico. Un certo Fumagalli (discepolo di Padre Giovanni Pozzi, un cappuccino morto recentemente e che è stato uno degli studiosi più importanti di testi francescani) ha scritto un libro intitolato: San Francesco, il Cantico e il Pater Noster (Jaca Book 2002) nel quale mette in discussione la composizione a tappe. Per una ragione di ordine linguistico, letterario, strutturale, lui mostra come il Cantico abbia un’unità interna molto forte che non sarebbe possibile se fosse frutto di aggiunte progressive e cerca di dimostrare che i testi che raccontano ciò forse sono elaborazioni posteriori. Il Cantico in sé mostrerebbe una grande unità. Normalmente però non c’è ragione di non dare fede ai testi che invece lo raccontano come vi ho detto. In entrambe le ipotesi relative alla composizione del testo, o tutto in una volta o in tre tappe, bisogna osservare che comunque Francesco, non ha inteso soltanto comporre un bel testo di natura ecologica come facilmente oggi si può pensare, la presenza delle strofe sul perdono e quella sulla morte, che siano aggiunte oppure no, dimostrano che la sua considerazione del cosmo non si ferma davanti ai soli eventi naturali: al sole, alla luna e alle stelle, ma passa anche ai rapporti tra gli uomini: Laudato sii mì Signore per quelli che perdonano per lo tuo amore”, è un discorso di riconciliazione. Riconciliazione tra gli uomini perché ci sia riconciliazione anche con il creato. C’è tutto il problema dello sfruttamento indiscriminato del creato, molto spesso rimanda alla sfruttamento tra uomo e uomo e per intervenire sull’uno bisogna intervenire sull’altro. La strofa sulla morte fa capire che il discorso di Francesco non è soltanto nella direzione del cosmo, che pure occupa un posto importante in questo testo del Cantico, ma anche riguarda gli uomini e le loro relazioni.

Di fondo, il Cantico delle Creature è una preghiera di lode. Il ritornello del Cantico: Laudato sii mì Signore ne è la prova. La lode e il rendimento di grazie hanno una notevole importanza nella spiritualità di Francesco.

In primo luogo,  avere lo Spirito del Signore, è lasciare che lo spirito di Dio entri in te e ti permetta di vedere la realtà con occhi nuovi. Si parte da qui, dall’azione dello Spirito del Signore che permette di vedere e credere, di avere quegli occhi nuovi per vedere che il sole è bellu e radiante cum grande splendore: de Te Altissimo, porta significazione. Dire che il sole è bello e radiante con grande splendore, lo dice ogni uomo che ha gli occhi, ma di Te Altissimo porta significazione lo dice il credente, non guardando un sole diverso da quello del non credente, ma in quella realtà di chi ha lo spirito del Signore che sa vedere qualcosa che rimanda a Dio.

L’illetterato Francesco usa una parola filosofica impegnativa che è significazione. Si parte da un discorso di fede che genera, lo dice Francesco, un atteggiamento di fondo, che è quello di riconoscere che il bene viene da Dio, il bene è di Dio, quindi non è roba mia: la povertà di Francesco nasce da questa semplice constatazione. Tutti i beni che abbiamo sono doni che provengono dal Signore e che siamo chiamati a restituire al Signore, restituendoli prima ai fratelli.

Ecco da dove nasce la lode, il rendimento di grazie come restituzione a Dio di quello che riconosco provenire da Lui. Da Dio tutto proviene, Lui è la vera sorgente di ogni bene, i beni ce li troviamo tra le mani e non dobbiamo tenerli per noi perché non sono cosa nostra ma vanno restituiti a Dio e ai fratelli, soprattutto ai poveri che sono i rappresentanti eletti di Dio.

Possiamo ritrovare proprio nel Cantico questo pensiero attraverso la famosa questione, dibattuta dai letterati, circa i PER del Cantico. Francesco dice: Laudato sii mì Signore PER sora luna e le stelle, PER frate vento, PER sora acqua, PER frate focu, PER sora nostra madre terra, PER quelli che perdonano ecc. Quel PER nelle interpretazioni può avere due significati: per – causale: ti lodo “a causa” del sole, della luna ecc. L’altro significato è ti lodo “per mezzo di”, il “per” è strumentale, è quello della liturgia quando le orazioni finiscono “Per Cristo nostro Signore”, ti chiediamo Padre di far questo per Cristo nostro Signore, per mezzo di Cristo; è il “per” latino. Per causale o per strumentale? A me piace pensare che ci sia un po’ l’uno e un po’ l’altro, proprio nell’ottica per cui lodo Dio per le creature perché riconosco che vengono tutte da Lui – per causale – e restituisco questa lode per mezzo delle creature – per strumentale - del ritorno a Dio. Il sole è insieme quello che di Te Altissimo porta significazione, quello che mi manifesta ciò che Dio è, ma è anche il cantore di Dio, lodo Dio per mezzo delle creature. Questo atteggiamento ci mette in mezzo ad un flusso continuo dove da Dio tutto parte e a Dio tutto ritorna, in cui l’atteggiamento della lode e del rendimento di grazie è quello di chi riconduce a Dio quello che da Lui proviene.

Un ultima osservazione generale è quella che il testo del Cantico non è soltanto una lode ma porta con sé anche diversi passaggi di carattere esortativo e morale ad esempio: laudato sii mì Signore per quelli ke perdonano per lo tuo amore e sostengono infirmitate e tribolazione – qui sta lodando – ma aggiunge: beati quelli ke l’ sosteranno in pace, ka da Te Altissimo, sirano incoronati… guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali…- affermazioni di carattere esortativo – E’ fondamentalmente un testo di lode che però porta con sé anche una dimensione di esortazione, non a caso nel finale, Laudate e benedicete mì Signore et ringratiate e serviateli cum grande humiltate, si rivolge a chi l’ascolta perché lodino, ringrazino e servano. Questa prospettiva di carattere laudativo di fondo, ma anche di carattere esortativo è una commistione che si trova in altri testi di Francesco, è una sua caratteristica. Nella Regola non bollata ha un capitolo sull’esortazioni e lodi che possono fare i frati, ed è un piccolo testo, dicono gli esperti, che probabilmente era inserito nella prima redazione della Regola perché i frati lo imparassero a memoria per poter andare in giro a dire delle cose cattoliche e sensate. Bisogna pensare che nella prima fraternità non c’era formazione, far imparare a memoria un testo significava anche non far dire stupidate.

 

Il Cantico, preghiera di lode, è un genere molto presente in Francesco, se si fa un excursus veloce tra le preghiere del Santo quasi tutte sono di carattere laudativo, il suo tipico modo di pregare è di lodare il Signore.

Di Francesco possediamo due autografi. Di quasi nessun personaggio di quell’epoca abbiamo autografi, si pensi a Dante per esempio, di S. Francesco, illetterato, semplice, ne abbiamo due conservati come reliquie, e studi recenti di carattere paleografico, tecnico, analizzando il tipo di inchiostro usato, la pergamena ecc.. danno molte informazioni sulla cultura di Francesco, anche dal modo in cui scrive, una scrittura goffa, impacciata, classica di un mercante che ha studiato a sufficienza per non farsi imbrogliare, - bisognava saper leggere e scrivere per i contratti -, ma non era necessaria una formazione letteraria in senso proprio e ciò corrisponde a quello che sappiamo di Francesco.

Ricordo che facendo scuola ai cappuccini c’era uno studente che aveva fatto Lettere all’università e che i compagni prendevano in giro perché lui era il letterato, e un giorno stanco di questa presa in giro si rivolge a un suo compagno che diceva che i francescani sono semplici, illetterati, e gli aveva risposto che quando lui avrebbe saputo di latino a sufficienza da scrivere un piccolo testo e di capirlo, quando avrebbe saputo di francese abbastanza per cantare in francese quando si è contenti – le biografie attestano che era un tratto tipico di Francesco, in verità cantava in lingua provenzale, quella dei trovatori della musica -, e quando avrebbe saputo d’italiano tanto da scrivere il primo testo della letterata italiana allora anche lui sarebbe stato ignorante come san Francesco. Ciò mi ha fatto pensare, Francesco possedeva una formazione da mercante, conosceva il provenzale lingua del sud della Francia, del centro Europa, del nord dell’Italia, lingua utile nei mercati, un po’ di latino a sufficienza per intendersi, e il volgare che era quello che si parlava, e poi ebbe una grande scuola con la celebrazione della liturgia.

Dei due autografi, quello scritto a La Verna, sono le Lodi a Dio Altissimo: Tu sei Santo, Tu sei misericordia, Tu sei pazienza, Tu sei bellezza… solo Tu sei. Preghiera contemplativa, al di là quasi della lode, pura contemplazione. Non dice “Ti lodo perché…”, ma “Tu sei…”. Tante altre preghiere sono nella prospettiva della lode, che è la prospettiva più tipica, ma non l’unica. Di Francesco abbiamo anche la preghiera dinanzi al crocefisso, la preghiera degli inizi dove, da bravo principiante, dice: Alto e glorioso Dio - fin dall’inizio Dio è l’Altissimo, l’immagine della grandezza, della maestà – illumina le tenebre del core mio e dammi fede diritta, speranza certa, carità perfetta, senno e conoscimento, Signore, che faccia lo tuo santo e verace comandamento. E’ la preghiera degli inizi, e all’inizio è giusto chiedere cose sostanziose, luce, fede, speranza e carità, senno e conoscimento per poter fare. Il Francesco della Verna, due anni prima della morte o del Cantico è proiettato nella Lode. E’ un itinerario, ci sono in mezzo vent’anni, una crescita che va nella direzione della lode.

 

Nella prima parte del Cantico il testo vuol riferire la gloria, la lode, l’onore a Dio, qua ci stanno dietro testi dell’Apocalisse: Tu sei degno Signore Dio nostro di ricevere la gloria, l’onore, la potenza, Tu hai creato tutte le cose, per la tua volontà furono create e sussistono, Un testo, questo, che Francesco conosceva tramite la liturgia che riprende nelle Lodi per ogni ora: Tu sei degno Signore Dio nostro di ricevere la gloria, l’onore e ogni benedizione. Questa serie che ritorna quasi pari pari, evidenzia l’eco di questa preghiera di lode, che è quella dei beati nell’Apocalisse, di coloro che sono già nella gloria.

Et nullo homo ene dignu te mentovare, nessun uomo è degno di nominarti, è un tratto che troviamo anche in altri scritti di San Francesco, ad esempio nella Regola non bollata, quando dice: E poiché tutti noi miseri e peccatori non siamo neppure degni di nominarti, supplici ti preghiamo che lo stesso Tuo Figlio ti renda grazia. L’idea dell’ineffabilità del nome di Dio, il nome di Dio è più alto, è al di sopra, sta più il là. Nella tradizione ebraica il nome di Dio non si menziona, si sostituisce sempre al tetragramma la parola Signore-Adonai, perché quel nome è impronunciabile, eco del comandamento non nominare il nome di Dio invano e senso profondo del rispetto per Dio.

Le parole Altissimo, onnipotente, bon Signore, sono gli attributi della trascendenza, è il Dio altissimo, onnipotente, ma anche buono, il Dio che sta nella sfera divina dell’onnipotenza, nell’alto, ma che essendo buono si rivolge verso di noi, anche nella prima preghiera dove dice Alto e glorioso Dio, Dio è qualificato con la notazione di Altissimo.

Laudato sii, mì Signore cum tucte le tue creature, dove il cum può portare ad una visione panteistica, ma Francesco non era certo in questa prospettiva, le creature cioè non sono come Dio, ma la lode le riconosce cum-con noi lodanti Dio. Laudato sii mì Signore, insieme con tutte le creature noi ti lodiamo.

Spetialmente messer lo frate sole, lo quale è iorno, et allumini noi per lui, et ellu è bello e radiante cum grande splendore: da Te Altissimo porta significazione. Tre sono i soggetti: Tu Dio illumini noi per lui, il Sole che è soggetto perché è iorno, e noi per lui. Si gioca tra questi tre riferimenti Dio, il sole, noi. La prima delle creature menzionate è il sole perché la struttura della preghiera vede per prima le creature celesti: sole, luna e stelle, poi i quattro elementi tradizionali del cosmo: aria, acqua, fuoco, terra. Già i filosofi presocratrici riconoscevano questi quattro elementi, forse anche in Francesco balza questo pensiero della cosmologia del tempo, il modo di vedere il mondo. Questa parte cosmica è interessante perché ha questi due elementi celesti e poi i quattro elementi che compongono la vita del mondo. E’ un cambiamento di prospettiva nel modo di cambiare la realtà creata, quel mondo che secondo alcuni prima di Francesco era da disprezzare, Innocenzo III , il papa che gli approva la Regola, quando era ancora cardinale aveva scritto un trattato intitolato Sul disprezzo del mondo,un mondo che ti può allontanare da Dio e che per questo disprezzi. Francesco è chiaramente lontano mille miglia da questa concezione, il mondo per lui porta significazione, è scala per arrivare a Dio. Nasce una concezione diversa della realtà creata, una idea positiva, non qualcosa di cui aver paura e disprezzare, ma che conduce a Dio, se vissuto nella maniera giusta.

Laudato sii mì Signore per sora luna e le stelle, in celu l’ai formate clarite et  pretiose e belle, cosmologia biblica della creazione, nel libro della Genesi al primo capitolo si legge : Dio fece i due luminari, il maggiore per regolare il giorno, il minore per regolare la notte e le stelle, e li pose n el firmamento del cielo perché splendessero sopra la terra. Il libro della Genesi è rievocato da Francesco con lo sguardo alla luna e alle stelle clarite, pretiose e belle.

Laudato sii mì Signore per frate vento, et per aere et nubilo et sereno et omne tempo, per lo quale alle tue creature dai sostentamento .Laudato sii mì Signore per sora acqua la quale è multo utile et preziosa et casta. Si notino le coppie: il sole e la luna – maschile e femminile, il vento e l’acqua – maschile e femminile -, il fuoco e la terra, -maschile e femminile –. Acqua e vento forse evocazione dello Spirito, il vento sopra le acque; il libro della Genesi inizia con lo Spirito di Dio che aleggiava sulle acque. Frate focu e madre terra, più difficile da cogliere come accoppiamento. Il fuoco robustoso e forte fa emergere l’utilità delle creature, non sono solo belle, ma anche utili, tanto che con il fuoco si illumina la notte.

Laudato sii mì Signore per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.Una terra che ci sostenta e governa. P. Carlo Palazzi fa notare che in molti dialetti governare, verbo usato dai contadini, significa dar da mangiare, accudire le bestie, la terra nello scritto di Francesco quindi significa che ci nutre, ma non solo ci sono i frutti utili ma anche i fiori belli, coloriti. Senza rifiutare l’utilità Francesco guarda alla dimensione della bellezza.

Laudato sii mì Signore per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengono infirmitate e tribolazione. Beati quelli ke lo sosteranno in pace, ka da te Altissimo sirano incoronati. Strofa inserita dopo oppure no, bisogna notare il riferimento all’infermità e alle tribolazioni che sono anche la situazione di Francesco negli ultimi anni, infermo e anche tribolato per le sue vicende che l’avevano portato alle dimissioni di ministro generale dell’ordine appena tornato dall’oriente, ciò segnala dei problemi nei confronti della fraternità e dei frati. Quando parla di coloro che sosterranno le tribolazioni e le infermità in pace, la parola usata anche in altri testi di Francesco, ad esempio nell’ammonizione tredicesima – ammonizione che commenta la beatitudine “Beati i pacifici”: sono veramente pacifici coloro che in tutte le contrarietà che sopportano in questo mondo per l’amore del Signore nostro Gesù Cristo conservano la pace nell’anima e nel corpo. Insiste nel collegare la pace con il sopportare infermità e tribolazioni anche nell’Audite poverelle, cantico in volgare che rivolge a Chiara e alle sorelle, quelle che sono gravate da infermità e le altre che a causa loro sono affaticate, tutte quante lo sosterranno in pace. Istintivamente noi colleghiamo il concetto di pace con il non avere infermità, si è in pace quando non si hanno malattie e tribolazioni, per Francesco non è così, la pace nasce, è possibile, ha come luogo privilegiato proprio l’infermità e la tribolazione. Questo è un messaggio notevole, questo collegamento che lui fa nasce probabilmente dalla sua esperienza in cui noi viviamo la pace profonda che viene dal Signore nei contesti difficili.

Laudato sii mì Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente po’ skappare, guai a quelli che morranno ne le peccata mortali: beati quelli ke trovarà nel le tue santissime volutati, ka la morte seconda no ‘l farrà male. La serietà per questo evento emerge da quello scappare, c’è dietro il desiderio di scappare, Francesco è consapevole che se potessimo scappare lo faremmo, ma siccome da quello nessun uomo può scappare diventa motivo di lode.

La morte seconda ritorna in alcuni testi dell’Apocalisse, che probabilmente Francesco conosceva. Nel capitolo secondo si legge : Sii fedele sino alla morte e ti darò la corona della vita, chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese, il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte. Nell’Apocalisse al capitolo 20 e 21: Il mare restituì i morti e la morte agli inferi resero i morti da loro custoditi, ciascuno venne giudicato secondale sue opere…poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco.

Laudate e benedicete mì Signore et ringratiate e serviateli cum grande humiltate, l’ atteggiamento di rendimento di grazie e di lode diventa anche invito al servizio.

A conclusione l’ultima osservazione è il fatto che il Cantico non cita Gesù Cristo, si rivolge all’Altissimo, Onnipotente, bon Signore e non c’è nessun riferimento esplicito a Cristo, strano questo nel cristiano Francesco, tra l’altro proprio per questo il Cantico è una preghiera usata spesso negli incontri interreligiosi, in quanto un mussulmano ed un ebreo possono pregarlo dall’inizio alla fine senza problemi.

Il Cantico, come molte preghiere di Francesco che si rivolgono sempre al Padre, sono la preghiera del Figlio, la preghiera di Cristo, Francesco ha assimilato profondamente quello che poi è un dato della preghiera cristiana in generale. La stessa osservazione che ora sto facendo sul Cantico la si può fare sul Padre Nostro, che è una preghiera cristiana eppure non cita Gesù Cristo, perché è la sua preghiera al Padre al quale Lui associa noi e tutto il pregare cristiano è un pregare per Cristo, con Cristo, in Cristo a Te Dio Padre Onnipotente nell’unità dello Spirito Santo. Il Cantico assume il suo pieno significato in questa prospettiva: preghiera del cristiano Francesco con il Signore Gesù rivolta al Padre, si capisce quindi un’ultima cosa che è la preghiera del cristiano Francesco con Gesù risorto. Lo sguardo dell’orante del Cantico è lo sguardo sui cieli nuovi e la terra nuova, vede il mondo come già sarà, come è uscito dalle mani di Dio all’inizio e come sarà alla fine, come non è ancora adesso, ma nella prospettiva del compimento, della resurrezione finale, dei cieli nuovi e della terra nuova, e questo entra nel percorso biografico di Francesco, il quale scrive il Cantico dopo le stigmate, momento difficile e doloroso che Francesco stava vivendo in quegli anni anche per le sue difficoltà con i frati, in cui la risposta di Dio ai suoi dolori è quella di stare sulla croce insieme al Cristo e le stigmate sono la riposta anche fisica, questa pasqua, questo passaggio fioriscono alcuni mesi dopo in questo Cantico delle creature in cui in fondo Francesco ha conosciuto l’esigente pace della croce. È passato attraverso la grande tribolazione e guarda alla Creazione con gli occhi del Risorto e ciò dà un tono luminoso, gioioso al testo pur se scritto in quelle tribolazioni, per lui è stato conoscere la pace sopportando infermità e tribolazioni e il Cantico manifesta questa pace interiore.

 
 
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