0. Premessa

Come si legge un testo biblico? Lasciamo che risponda un esegeta protestante dei tempi passati:

«Come usiamo i medesimi occhi per  leggere sia i libri sacri che le leggi dei sovrani, e in generale tutti i libri vecchi e nuovi, così anche nell'interpretazione di quei libri si devono applicare le medesime regole di cui ci serviamo per la comprensione di questi.»[1]

In altre parole, la Bibbia si legge come tutti gli altri libri. Ma allora perché si scrivono degli appunti di metodologia esegetica? Perché si danno alle stampe manuali di metodologia esegetica? Perché, nelle facoltà teologiche, si impara a fare esegesi? Non è proprio questo ciò che Wettstein intendeva. Egli voleva dirci che, nello studio e nell'interpretazione dei libri della Bibbia, il fatto che essi siano, per l'interprete, "Sacra Scrittura" non li pone su un piano diverso e privilegiato rispetto a qualsiasi altro testo. Gli stessi metodi di analisi che possiamo applicare allo studio di qualsiasi altro testo possono e devono, se si rivelano fruttuosi, essere applicati allo studio Bibbia.

Uno dei rischi che corriamo più di frequente, infatti, è quello di far dire al testo biblico ciò che già sappiamo, quello di ritrovare nella Bibbia noi stessi. L’unico modo per evitare questo pericolo è quello di frapporre fra noi e il testo un filtro: i metodi esegetici.

Lo scopo è avvicinarci il più possibile a ciò che il testo vuol dire evitando di far dire al testo quello che noi vogliamo.

Si dice spesso che la Bibbia è il libro più tradotto, più diffuso e più letto; tutto questo a conferma che ha qualcosa da dire anche agli uomini e alle donne di questo tempo, a riprova della sua attualità.

Non ci deve sfuggire, tuttavia, che l'attualità della Bibbia è l'altra faccia della medaglia della sua distanza temporale e culturale che ci separa da lei: il più recente dei libri che la compongono risale a poco meno di duemila anni fa.

L'osservazione che l'uomo, in fondo, è sempre uguale a se stesso ha del vero, ma rischia di cadere nel semplicismo: certe immagini che parlavano con vivezza agli uomini di due o tremila anni or sono non sono immediatamente comprensibili anche a noi; certe convinzioni possono essere per noi superate, certe norme apparirci crudeli e spietate.

Dobbiamo guardarci da due idee apparentemente contrapposte che nascondono, però, lo stesso pericolo: la prima è che la Bibbia contenga verità nascoste cui solo alcuni possano accedere; la seconda è che la Bibbia sia, al contrario, sempre così chiara ed evidente da non richiedere alcun ulteriore approfondimento.

Chi si appella a una delle due ipotesi suddette, parrà strano, ma sa bene che il senso autentico del passo di cui si discute è proprio quello che ha capito lui.

L'esegesi "scientifica" fa giustizia di entrambe le pretese: definirla "scientifica" non significa che essa possa essere una scienza esatta (non lo sono neppure l'economia e la medicina), ma che in quanto “scientifica” si pone di fronte all'oggetto del suo studio in modo imparziale, senza preconcetti intangibili, con onestà intellettuale. Non pretende di proporre verità assolute e definitive; il suo fine non è trovare argomenti da contrapporre ad un avversario in una controversia personale o, peggio, confessionale; spesso, anzi, l'esegesi smaschera il vuoto di certe contrapposizioni, la vacuità delle differenze che creano divisioni. Lo studio "scientifico" della Bibbia crea rapporti positivi, virtuosi, tra coloro che vi si dedicano: gli esegeti, anche di diverse confessioni o religioni (comprendiamo nel novero, accanto agli studiosi cristiani, almeno per l'esegesi dell'Antico Testamento, anche quelli ebrei) si riconoscono reciprocamente, pur nel dibattito e nel confronto, come le chiese e le religioni cui appartengono, purtroppo, non riescono ancora a fare.

L'esegesi, infatti, è al servizio del testo biblico, tanto che sia alla base della lettura per la personale "edificazione", quanto che sia alla base della predicazione, tanto che la si applichi allo studio della teologia biblica quanto che sia spunto per la riflessione teologica; l’esegesi non è sfoggio di cultura, erudizione, intelligenza ma richiede cultura, erudizione e intelligenza, e, accanto ad esse, un'applicazione assidua, studio appassionato e, soprattutto, umiltà.

 

[1] Johann Jakob Wettstein, Uber die Auslegung des Neuen Testamentes, in Novum Testamentum Graecum, Amsterdam 1751/52.

 
 

 

 

 
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