1. Terminologia dell'esegesi

Si darà, ora, una definizione di testo (dal latino textus). Essa non pretende di essere esauriente e si pone accanto ad altre. Nemmeno gli esperti, gli studiosi di linguistica[1], possono dare una definizione univoca di cosa sia un testo; quella che proponiamo è di Werner Stenger: «Intendo dunque per testo un'espressione linguistica coerente, strutturata che, in se conchiusa, per lo meno relativamente, intende operare un determinato effetto»[2].

Testo parziale: si intende con questo termine un testo che fa parte di un testo più ampio ma che è, in sé, relativamente conchiuso: ad esempio, un racconto di miracolo nel contesto di un Vangelo.

Parte del testo: con parte del testo o segmento del testo si definiscono le parti che costituiscono un testo / testo parziale; tali parti, che sono tra loro connesse, non sono, però, in se conchiuse né, ovviamente, indipendenti.

 

Il termine esegesi, dal greco exēghesis, ha, per Tucidide, il senso di "racconto, esposizione", per Polibio quello di "spiegazione, commento", per Platone quello di "interpretazione". Il vocabolo deriva dal verbo ex- ēgheomai che, in senso concreto, significa condurre fuori; in senso figurato significa trarre fuori (da un testo) il suo significato: spiegare, interpretare.

 

Accanto al termine esegesi, sempre nel senso di interpretazione, possiamo incontrare il termine ermeneutica: sono sinonimi o indicano due prospettive diverse, addirittura opposte?

Sentiamo in proposito cosa scrive l'esegeta cattolico Antonio Bonora: «I due termini, esegesi ed interpretazione, potrebbero essere intesi come equivalenti, poiché l'esegesi è il commento o la spiegazione, quindi l'interpretazione, di un testo biblico»[3].

Il Bonora continua notando come si sia imposta, più di recente, la tendenza a distinguere nell'uso dei due termini usando rispettivamente:

m ermeneutica: per definire la teoria generale della comprensione dei testi ovvero lo studio del senso dei testi partendo da problematiche attuali

m esegesi: per definire l'attuazione e 1a pratica dell'interpretazione mediante strumenti o metodi adeguati.

In altre parole, secondo la distinzione sopra evidenziata:  

m l'esegesi va alla ricerca del senso "originario" del testo, del senso del testo nel suo contesto originario: in relazione ai lettori cui l'autore si rivolgeva;

m l'ermeneutica cerca di capire il senso del testo nel contesto attuale; che cosa il testo può dire ai lettori d'oggi, qui ed ora.

L'autore propone l'espressione "esegesi integrale" per designare la lettura che coniuga "ciò che il testo significava e ciò che il testo significa oggi".

 

Sincronia e diacronia

Anche questi due termini derivano dal greco: sincronia: syn (insieme / con) - khronos (tempo) diacronia: dia (attraverso) - khronos (tempo). La coppia di concetti sincronia / diacronia è stata introdotta dal linguista ginevrino Ferdinand de Saussure nelle sue lezioni all'Università di Ginevra negli anni  tra il 1906 e il 1911.

Nel linguaggio corrente il termine sincronia e i suoi derivati indicano la contemporaneità, mentre il termine diacronia non è, generalmente, impiegato.

Come termine tecnico della linguistica, sincronia rappresenta la prospettiva di studio che analizza una lingua in un determinato momento a prescindere dalla sua evoluzione storica; la diacronia si interessa, al contrario, di una lingua dal punto di vista del suo sviluppo storico.

La coppia di concetti sincronia / diacronia è impiegata anche nelle scienze letterarie:

m         parliamo di “approccio sincronico” quando prendiamo in considerazione il testo così come ci si presenta nella sua forma finale, definitiva, attuale;

m         parliamo di “approccio diacronico” quando cerchiamo di cogliere il processo di formazione di un testo nella sua dimensione storica; attraverso il tempo, appunto.

Nella prospettiva sincronica il testo è, secondo il senso etimologico del termine, un tessuto (in latino textus); prevale la dimensione orizzontale, i particolari in relazione tra loro e nell'insieme.

Nella prospettiva diacronica il testo appare il risultato di uno sviluppo che si è attuato nel tempo, si cerca di riconoscerne, se ve ne sono, i diversi "strati".

L'uso dell'immagine degli strati, presa a prestito dall'archeologia e dalla paleontologia, benché efficace, può rivelarsi fuorviante: non si tratta, infatti, di scavare per trovare cose che prima, coperte dalla terra, non si vedevano. L'immagine che meglio descrive l’approccio diacronico è quella del critico, dello storico dell'arte che, dall'analisi di un'opera architettonica (una chiesa, un palazzo, un castello…) o figurativa, individua, nell'opera come gli appare adesso, la costruzione o la forma originarie e la presenza eventuale di interventi successivi.

 

[1] «Nella linguistica si trovano diverse definizioni di testo, a seconda del punto di vista da cui ci si accosta, che può essere: ontologico-essenziale, funzionale-intenzionale, immanente al testo, analitico-comunicativo, oppure orientato nel senso di una trattazione teorica» (G. Müller Text in Lexicon exegetischer Fachbegriffe, ed. Kevelaer, Stuttgart 1985: trad. it. P.G. Müller, Testo, in: Lessico della scienza biblica, Queriniana, Brescia).

[2] W. Stenger, Metodologia biblica, Queriniana, Brescia 1991.

[3] A. Bonora, Esegesi integrale per la comprensione di un testo biblico, in: AA.VV., Guida alla lettura della Bibbia. Un approccio interdisciplinare all'Antico e al Nuovo Testamento, San Paolo, Milano 1995.

 
     
  <<<< indice

2. Metdodi sincronici e metodo diacronici >>>>