5.1. La didattica narrativa della Bibbia: obiettivi

 
 

Da quanto si è venuti dicendo fin qui non servirebbero ulteriori elementi per sottolineare l’importanza della studio della Bibbia in un contesto scolastico. Vale tuttavia la riprendere la domanda di apertura (Perché la Bibbia a scuola?) per precisarla ulteriormente, prima affrontare il discorso più specifico degli obiettivi, della metodologia e dei contenuti.

 

5.1. Perché la Bibbia a scuola

a. Lo si è già detto, ma è opportuno ripeterlo: se non è legittimo ridurre la Bibbia a mero testo culturale, è tuttavia doveroso un approccio culturale. Proprio perché la Parola si è fatta carne, cioè si è incontrata con una lingua, un supporto mediatico[1] e una cultura, l’approccio alla Bibbia non può che essere laico, laddove l’aggettivo intende sottolineare la natura storico–critica, culturale e formativa di un insegnamento della Bibbia in ambito scolastico (g 5.3.3).

Si potrebbe obiettare che tale impostazione rappresenti una diminutio della Bibbia in quanto testo della fede individuale e collettiva. Bisogna però considerare che la fede non si insegna, ma casomai si annuncia e si testimonia, e questo annuncio-testimonianza è compito (ma sarebbe meglio dire dovere) della comunità ecclesiale, mentre quello della scuola è un compito formativo. La conoscenza della Bibbia in ambito scolastico ha un valore culturale e quindi formativo (e pertanto anche, ma non in prima istanza, una formazione alla fede).

 

b. Il valore culturale e formativo della didattica biblica deriva dalla natura stessa della Bibbia la quale è un documento-testo codificato, codificante, decodificabile (è nota la definizione di N. Frye: la Bibbia è il grande codice dell’Occidente[2]).

α. La Bibbia è un documento codificato nella sua pluralità di:

    codice storico, non tanto perché è un’opera storica, ma perché contiene la storia di una relazione (Dio e il suo popolo) che indirizza e dà senso alla storia;

    codice culturale, perché prodotto e specchio di una cultura (ebraica e greca);

    codice religioso, perché testo rivelato e fondamento della religione ebraica e cristiana; da questo punto di vista lo si potrebbe definire anche un codice interreligioso (perché testo condiviso dall’ebraismo e dal cristianesimo, oltre che rilevante per l’islam) e interconfessionale (perché testo condiviso dalle varie confessioni cristiane).

β. In quanto codice codificato, la Bibbia è anche codice codificante, cioè ha valore normativo, non nel senso legalistico del termine, ma in senso esistenziale. Essa è testo che vive nel presente delle comunità che lo interpretano e da esso si lasciano interpretare.

γ. In quanto codice codificato e codificante, la Bibbia è anche codice decodificabile, cioè contiene in sé la propria decodificabilità e transcodificabilità: la Bibbia è un grande racconto che il lettore decodifica (Scriptura crescit cum legenti, come diceva Gregorio Magno) e transcodifica (le riletture del testo condotte con altri linguaggi artistici).

Queste tre dimensioni sono strettamente legate alle tre dimensioni temporali: il codice codificato rimanda al passato, il codice codificante al presente, il codice decodificabile al futuro. 

Ne deriva che «la Bibbia trova la sua collocazione “naturale” nella scuola, in quanto documento e codice culturale disponibile ad essere interpretato da tutto ciò che di culturale si opera e si progetta nella scuola (…) Per questo la Bibbia non è di esclusiva competenza dell’insegnante di religione, ma di ogni docente che professa e insegna un sapere scolastico: perché nella Bibbia (documento codificato) e dalla Bibbia (documento codificante), come nei documenti di ogni cultura, è possibile trovare le risorse per comprenderci e reinventarci»[3].

 

c. La Bibbia, dunque, nella sua qualità di testo-documento codificato, codificante e decodificabile, svolge, insieme ad altri testi della tradizione culturale dell’Occidente, un ruolo fondamentale nel processo di formazione umana e culturale delle giovani generazioni. E lo svolge perché essa si presenta a noi come:

α. documento di una esperienza credente, nello specifico dell’ebraismo (che però è più di una religione) e del cristianesimo (nelle sue articolazioni confessionali); la fede religiosa è anche oggetto di indagine culturale (storia delle religioni, filosofia della religione, sociologia del fatto religioso, psicologia della religione) e a tale titolo trova accoglienza nell’ambito scolastico. Senza dimenticare il dato “culturale” che la Bibbia continua ad essere il libro più diffuso e più tradotto (anche se non necessariamente il più letto) al mondo.

β. documento di una vicenda storica: non si può prescindere dalla Bibbia per conoscere la storia del popolo di Israele, di un personaggio come Gesù, del primo cristianesimo. Ma anche la conoscenza della storia medievale e moderna sarebbe perlomeno monca senza un preciso riferimento al testo biblico e alle sue declinazioni culturali, oltre che religiose.

γ. documento di un linguaggio narrativo-simbolico: un’esperienza credente che fa i conti con l’opacità della storia non può che esprimersi con il linguaggio simbolico di chi sa che la realtà è più di quanto appare. Da questo punto di vista, la narrazione biblica, con il suo spessore letterario, con la sua retorica solo apparentemente modesta, con il suo pluralismo di generi letterari, si pone come esperienza culturalmente molto raffinata. Se così non fosse, non si spiegherebbero le molteplici riprese letterarie e artistiche del testo biblico.

δ. documento di una ricodificazione culturale: non si può negare che la Bibbia abbia fatto effetto (storia degli effetti): sulla comunità dei credenti, certo, ma anche sulle elaborazioni culturali che, per confermarla o per contestarla, l’hanno riletta (cioè ricodificata) in quanto testo autorevole da cui non si può prescindere, perché, come tutti i classici, anche essa ha un valore obbligante. Gli echi biblici si possono ritrovare anche dove meno ce li si aspetterebbero (si pensi, per fare un solo esempio, alla tema biblico dell’esodo)[4].

ε. documento di una riflessione antropologica: la Bibbia non è un manuale religioso o un trattato di teologia; non a caso, più che risposte, essa rilancia continuamente delle domande. L’umanità di cui parla non è un’umanità redenta (almeno non ancora), ma alle prese con i limiti dell’umano, senza i quali non ci sarebbe la libertà. Come sottolinea G. Theissen, «la Bibbia è un serbatoio di esperienze e valori, superiore a tutto ciò che un individuo può vivere e conoscere nel corso della sua vita. Le grandi tradizioni hanno un vantaggio rispetto ai singoli. In esse si sono depositate le esperienze di molte generazioni (sia nel processo della loro formazione sia nella storia dei loro effetti). Di fatto è raro che in un solo libro (o in una sola raccolta di libri) sia contenuto il ricordo di tante epoche della storia umana come nella Bibbia»[5].

 

d. Tuttavia, per la Bibbia, come del resto per tutti i libri fondamentali, vale il principio che è meglio non leggerla che leggerla male. Leggerla male significa, per esempio:

  interpellare il testo e non farsi interpellare dal testo: come suggerisce Ernesto Borghi, «esiste un lasciarsi dire dal testo, un lasciarsi interpretare che riguarda qualsiasi opera letteraria o comunque artistica, condizioni di fronte alle quali quello che conta è soprattutto il punto di arrivo di chi si è lasciato dire e interpretare, non tanto il suo punto di partenza culturale o religioso»[6].

  badare solo alla lettera e non allo spirito o, viceversa, badare solo allo spirito e non alla lettera: significa evitare una lettura meramente culturalistica o una lettura meramente spiritualistica, una lettura solo orizzontale o solo verticale; la Bibbia sfugge a queste sovradeterminazioni e si impone nella sua pluralità, letteraria e tematica, perché «nella Bibbia ogni voce ne suscita una contraria: il libro di Giona si contrappone al profetismo nazionalista, il pessimismo dell’Ecclesiaste polemizza con la sapienza più antica, il “ma io vi dico” del discorso della montagna rettifica la rivelazione del Sinai, il vangelo di Matteo, rappresentando Gesù ligio alla torà, critica quello di Marco. La Bibbia contiene in sé un dialogo. La sua interpretazione in confessioni e correnti differenti lo prolunga fin nel presente. La sua intrinseca molteplicità legittima la pluralità del cristianesimo, la sua unità il dialogo ecumenico»[7]

  proiettare sul testo i propri bisogni: è tanto facile quanto deleterio considerare la Bibbia come un ricettario di formule precotte e buone per tutti gli usi, come un manuale del vivere bene, come un repertorio di personaggi esemplari; la Bibbia interroga il lettore e lo spiazza sistematicamente, come si vede bene, per esempio, nel genere parabolico.

  servirsi del testo e non servire il testo: un approccio superficiale al testo biblico che non prenda in considerazione le sue componenti storiche, letterarie e culturali, porta ad una lettura utilitaristica, quindi schiavizzante; al contrario, «leggere la Bibbia è una scuola di libertà, di stimolo alle capacità umane di discernimento interiore e sociale, profondo ma non pretenzioso, appassionato ma non emotivo. Ciò avviene senz’altro nel momento in cui il Primo e il Nuovo Testamento e i testi che li compongono sono considerati nella loro storicità, nella loro ermeneuticità, nella loro validità etica ed estetica fondamentale per qualsiasi essere umano e nella loro essenzialità originaria per la fede, dunque per la vita degli ebrei e, a loro volta, dei cristiani»[8].

Va dunque sottolineato con forza che la Bibbia a scuola deve essere non una presenza purchessia, ma una presenza consapevole, il che significa che bisogna evitare le insidie tanto dello spontaneismo emotivo quanto del tecnicismo escludente: il primo porta a pensare che per affrontare la Bibbia bastino un po’ di buona volontà e poche risorse; il secondo che la Bibbia sia testo riservato alla casta degli esegeti di professione. Ribadisco: in contesto scolastico (ma non solo in quello ovviamente), meglio non affrontare la Bibbia che presentarla in modo superficiale.

 

5.2. Gli obiettivi

Nell’attuale contesto scolastico, l’insegnamento della Bibbia non può presupporne la conoscenza, ma deve incentivarla. Una tale situazione, apparentemente poco favorevole, consente una formazione biblica priva di scopi utilitaristici: non si  usa la Bibbia per svolgere azione di proselitismo o per rafforzare appartenenza etnico–identitarie.

Di seguito tentiamo un elenco sicuramente incompleto e provvisorio delle finalità generali e degli obiettivi cognitivi e formativi, non prima di aver specificato che essi sono stati pensati in relazione ad alunni/alunne della scuola secondaria di secondo grado.

 

5.2.1. Finalità generali

Le finalità dello studio della Bibbia possono essere così riassunte:

a.   conoscere: si tratta anzitutto di colmare l’abisso di incultura che regna intorno al testo biblico, la sua storia compositiva, la sua articolazione interna e i suoi caratteri letterari;

b.   per comprendere: comprendere la rilevanza culturale che il testo biblico ha esercitato sulla storia politica, sociale, artistica, etica, filosofica, economica dell’umanità, con particolare riguardo alla cultura occidentale;

c.   per valutare: conoscenza e comprensione non si traducono automaticamente in capacità di valutazione. Si tratta allora di saper valutare le diverse forme della ricodificazione biblica nei vari campi artistici (letteratura, arte, musica, teatro, cinema, ecc.);

d.   far cogliere il nesso tra Bibbia e cultura: il sapere biblico è sapere culturale in senso ampio e profondo e dipende dalla qualità di «classico della cultura» che caratterizza la Bibbia: bisogna quindi far prendere consapevolezza del fatto che senza la conoscenza della Bibbia, come di altri classici, si sarebbe culturalmente più poveri;

e.   far cogliere il nesso tra Bibbia e suo potenziale cognitivo: la conoscenza della Bibbia in quanto testo codificato, oltre ad avere un valore cognitivo, ha un valore formativo, nel senso che si pone come chiave di lettura di tante altre conoscenze sull’essere umano, sulla società, sulla cultura. La conoscenza della Bibbia può fornire strumenti concettuali utili a comprendere in modo significativo se stessi e il mondo;

f.    far cogliere il nesso tra Bibbia e ermeneutica: la Bibbia ha avuto (e continuerà ad avere) una lunga storia ermeneutica che indubbiamente va esplicitata ed esemplificata per farne cogliere la ricchezza. È però importante anche far prendere consapevolezza di quel particolare circolo ermeneutico per effetto del quale interpretare un testo significa accettare di lasciarsi interpretare dal testo. La Bibbia continua ad essere interpretata (la lettura infinita[9]) perché continua a interpretare i suoi interpreti.

 

5.2.2. Obiettivi

a. sapere (conoscenze): conoscere

  conoscere la struttura del testo biblico e la sua divisone interna;

  conoscere i lineamenti essenziali di storia della redazione del testo;

  conoscere i canoni biblici;

  conoscere i principali generi letterari della Bibbia e le risorse retoriche ad essi collegate;

  conoscere le traduzioni del testo: LXX, Vulgata, traduzioni in lingue moderne;

  conoscere l’ambiente storico-geografico palestinese, ellenistico e romano;

  conoscere le tappe fondamentali della storia del popolo ebraico e del primo cristianesimo;

  conoscere i principali metodi ermeneutici del testo biblico;

■  conoscere i temi fondamentali della Bibbia.

 

b. saper fare (capacità): comprendere

  saper utilizzare il testo e selezionare libri, capitoli e versetti;

  comprendere i caratteri formali e contenutistici del linguaggio biblico;

  saper leggere  e decodificare il linguaggio simbolico-religioso della Bibbia;  

  saper cogliere i tratti tipici della lettura ebraica e di quella cristiana della Bibbia;

  comprendere la metodologia della ricerca storico-critica applicata alla Bibbia;

  saper utilizzare i testi biblici in funzione della ricostruzione storiografica;

  saper costruire mappe concettuali intorno a temi biblici;

  saper cogliere il nesso immanenza e trascendenza nell’esperienza biblica;

  saper cogliere il legame tra testo biblico (ipotesto) e sue riprese artistiche (ipertesto).

 

c. sapere essere (competenze): valutare

  saper esprimere un giudizio critico sulla rilevanza della Bibbia nella sfera pubblica;

  saper valutare la qualità delle riprese culturali del testo biblico;

  saper condurre una sia pure elementare operazione ermeneutica di un brano o una sezione del testo biblico;

  saper argomentare la differenza tra l’antropologia e l’etica bibliche e l’antropologia e l’etica contemporanee;

  «saper leggere biblicamente l’esperienza ed esistenzialmente la Bibbia»[10];

  saper valutare criticamente la differenza tra Bibbia e altri testi della tradizione religiosa.


 

[1] Cfr. W.M. Schniedewind, Come la Bibbia divenne un libro, Queriniana, Brescia 2008.

[2] N. Frey,  Il grande codice: la Bibbia e la letteratura, Einaudi, Torino 1986.

[3] R. Chiarazzo – P. Troìa, Il codice Bibbia. La Bibbia a scuola, Società Biblica in Italia, Roma 2004, p. 27 (corsivo dell’Autore).

[4] Non mancano in questo ambito alcune sorprese, come la riscrittura della Bibbia nel linguaggio dei fumetti manga (cfr. www.themangabible.com).

[5] G. Theissen, Motivare alla Bibbia…, cit., p. 57.

[6] E. Borghi, Il Tesoro della Parola. Cenni storici e metodologici per leggere la Bibbia nella cultura di tutti, Borla, Roma 2008, p. 110. Detto in altri termini: «Leggere la Bibbia dicendo noi stessi non è un comunicare delle informazioni sul modo in cui ha avuto origine il mondo, sulla data della nascita di Gesù e della sua morte, sui motivi per cui fu condannato, ma dicendo tutte queste cose, è un comunicare – nell’accettazione e nel rifiuto – con il mistero della nostra origine, del nostro peccati, della nostra speranza» (G. Ruggeri, La Bibbia libro di tutti?, cit., p. 79).

[7] G. Theissen, Motivare alla Bibbia…, cit., p. 154.

[8] E. Borghi, Il Tesoro della Parola.., cit., pp. 105-106.

[9] Cfr. P.C. Bori, L’interpretazione infinita, Il Mulino, Bologna 1987.

[10] C. Bissoli, Va’ e annuncia. Manuale di catechesi biblica, Elledici, Leumann (To) 2006, p. 276.

 
     
 

5.2. La didattica narrativa della Bibbia: metodologia

 

 

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