5.2. La didattica narrativa della Bibbia: metodologia

 
 

5.3. La metodologia

Prima di enunciare la nostra proposta didattica, è opportuno svolgere alcune considerazioni relative all’attuale contesto scolastico.

 

5.3.1. Le precondizioni

Un insegnamento scolastico della Bibbia non può prescindere dall’attuale situazione della scuola italiana. Senza soffermarsi sulle grandi questioni della politica scolastica e sulle scelte culturali che hanno ispirato le riforme degli ultimi anni, ci si può limitare ad analizzare tre precondizioni:

a. in fase di ricezione bisogna tener presente che la classe è un arcipelago: vi sono i credenti, secondo molteplici “gradazioni” e modalità di vivere concretamente la propria fede, vi sono gli agnostici, anche qui secondo tipologie diverse, vi sono i “diversamente credenti”, vi sono gli appartenenti a tradizioni religiose non cristiane. In un contesto così variegato e soprattutto così “sensibile”, va chiarito bene (e poi anche messo in pratica) che ci si accosta alla Bibbia come testo di cultura (g 5.1). L’obiezione di fondo che normalmente viene avanzata è che la Bibbia va letta in chiesa o al catechismo o durante l’ora di religione.

b. in fase di proposta didattica bisogna fare un lavoro analogo con gli insegnanti (anch’essi un arcipelago), la maggior parte dei quali possiede scarsa conoscenza del testo biblico e di conseguenza poca percezione del suo valore e della sua centralità culturale: è ovvio che le due lacune si rafforzano a vicenda. L’obiezione di fondo è che della Bibbia si deve occupare l’IDR (Insegnante di Religione Cattolica).

c. in fase di organizzazione disciplinare non si può trascurare l’anomalia italiana per cui l’insegnamento religioso ha carattere confessionale (g 5.3.2.c); se così non fosse, l’insegnamento della Bibbia avrebbe la sua “naturale” collocazione.

 

5.3.2. Tra disciplinarità e interdisciplinarità

a. In base a quanto appena detto, l’insegnamento della Bibbia a scuola non può certo essere concepito come materia a se stante, casomai come disciplina di studio: con tale termine si tengono insieme il riferimento allo studio, cioè al carattere non improvvisato né ingenuo delle osservazioni e delle metodologie, e il riferimento alla disciplinarietà, cioè all’attiva partecipazione dell’alunno/a alla costruzione del sapere, che diventa ricerca e, quindi, formazione di sé, in un senso certamente teorico e culturale, ma anche operativo e sperimentale. Se si accetta questa prospettiva si privilegerà l’acquisizione delle competenze sulla sistematicità degli obiettivi di apprendimento, la ricerca e la sperimentazione sull’aspetto “frontale” dell’insegnamento.

b. In tale quadro l’insegnamento della Bibbia può e deve avere una connotazione interdisciplinare: è la Bibbia stessa, nella pluralità della sua scrittura e nella pluralità delle sue ri-scritture, a richiederlo. Ciò esige un lavoro di programmazione che parta dal presupposto che all’interno del Consiglio di classe vi sia la consapevolezza dell’importanza culturale del testo biblico, cosa che non si può affatto dare per scontata.

c. A proposito poi del «chi insegna cosa», parrebbe perfino ovvio che la parte relativa alla presentazione della Bibbia nei suoi aspetti formali e contenutistici venga affidata all’IRC (Insegnamento della Religione Cattolica). Sennonché, come segnalato sopra, essendo l’IRC insegnamento facoltativo, si porrebbe il problema dei non avvalentisi i quali rimarrebbe esclusi da tale insegnamento. Non rimane che sensibilizzare i docenti delle varie materie, in particolare quelle umanistiche, proponendo dei corsi di aggiornamento ad hoc in cui si approfondisca la conoscenza del testo biblico e della sua valenza culturale.

d. Un’ultima considerazione. Non si pretenda di esaurire il discorso: ci vorrebbero anni e comunque non si può essere esaustivi neppure con altri classici. L’importante è far assumere consapevolezza del valore culturalmente vincolante della Bibbia. Sarebbe già molto.

 

5.3.3. Una didattica narrativa

Ribadiamo che l’insegnamento della Bibbia a scuola non è pertinente se è mosso da finalità catechetiche o da intenti proselitistici e confessionali: la scuola, infatti, non è chiamata ad educare alla fede (questo compito spetta alle famiglie e alle comunità ecclesiali) ma, nel caso specifico, ad educare alla capacità di cogliere e valorizzare le ricadute culturali (letterarie, artistiche, storiche, filosofiche, scientifiche) dell’opzione religiosa e di decifrare lo specifico del linguaggio religioso (accanto ad altri linguaggi).

Posto questo principio, bisognerà poi tener conto della quantità di ambiti formativi-educativi cui la scuola deve a far fronte (mi riferisco alle varie “educazioni”: alla salute, alla legalità, alla sessualità, alla cittadinanza, ecc.) e della quantità di ambiti disciplinari che deve affrontare. In tale situazione, sarà piuttosto difficile articolare un percorso organico di formazione biblica che tenga insieme il momento diacronico, quello sincronico e quello contestual-esistenziale[1].

Per questo motivo, tra le modalità di lettura che la tradizione cristiana ha applicato alla Bibbia[2], riteniamo che un approccio didatticamente stimolante e culturalmente significato al testo biblico in ambito scolastico possa essere il modello narrativo.

Si tratta di un metodo esegetico di tipo sincronico che intende valorizzare il testo biblico in quanto testo narrativo e il suo lettore in quanto lettore implicato. Il principio di base dell’analisi narrativa potrebbe essere così sintetizzato: un testo nasce grazie al suo autore, ma vive grazie al suo lettore; il testo è la bella addormentata nel bosco e il lettore è il principe che la sveglia con il suo bacio[3].

Elenchiamo qui sinteticamente quali sono, a nostro parere, i vantaggi di un approccio narrativo al testo biblico condotto secondo i metodi sviluppati dall’analisi narratologica:

    valenza didattica: capire come è costruito il racconto biblico ha delle ricadute sul piano delle competenze letterarie; la lettura e l’analisi dell’episodio della legatura di Isacco (Genesi 22),  per esempio, è forse meno significativa, dal punto di vista delle tecniche narrative, dell’analisi di una novella di Verga?

  valenza esistenziale e antropologica: il racconto è la modalità prima dell’esserci del mondo e dell’essere nel mondo. Quando si fanno esperienze percepite come decisive per la propria esistenza scatta un impulso irrefrenabile a raccontarle e, raccontandole, a rileggerle. È quindi sorprendente scoprire che le situazioni e le domande da cui muovono i racconti biblici non sono molto diverse da quelle di oggi.

  aiuta a comprendere meglio il messaggio biblico e i suoi temi: uno sterile elenco di tematiche desunte dalla Bibbia metterebbe in fuga anche gli studenti più motivati; al contrario, far risaltare i grandi temi biblici attraverso i racconti che li hanno veicolati consente di coglierli nella loro freschezza e quindi nella loro attualità.

  essendo l’analisi narrativa interessata all’autore implicito e al narratore più che all’autore reale, essa è particolarmente indicata per testi, come quelli biblici, i cui autori sono per la maggior parte anonimi (g 3.2.1) o si nascondono dietro il fenomeno della pseudoepigrafia.

  non fa perdere di vista la dimensione teologica della Bibbia, che si pone essenzialmente come teologia narrativa. Grazie all’analisi narrativa, si può capire come elementi quali la costruzione di una trama, il sistema dei personaggi, la semantizzazione del tempo e dello spazio siano indicativi dell’intenzione teologica tanto quanto una formulazione dottrinale o una confessione di fede.

  fa uscire la Bibbia dal suo isolamento culturale: sembrerà strano, ma pochi sospettano che i racconti biblici possano essere così avvincenti, la Bibbia essendo istintivamente confinata nel reparto dei libri noiosi (il Dio con la barba non può che essere il protagonista di un libro barboso);

  favorisce l’analisi degli effetti di testo: s’è detto sopra come la Bibbia sia stata in grado di produrre effetti artistici proprio per il suo essere un testo narrativo; analizzare i racconti biblici consente di percepire immediatamente le riletture che ne sono state fatte. Spesso capita che si analizzino le riprese bibliche facendo solo un rapido cenno all’episodio che le ha generate. L’approccio narrativo, invece, “costringe” a leggere con attenzione i testi. È quindi importante che i brani scelti per la lettura siano, nei limiti del possibile, quelli che più di altri hanno prodotto effetti di senso.

 

 

5.4. I contenuti

Come detto, i contenuti dell’insegnamento non possono riguardare soltanto gli effetti esercitato dal testo biblico (Wirkungsgeschichte), ma devono tener conto anche delle cause da cui quegli effetti derivano (Grundgeschichte). Al tempo stesso, l’adozione di un metodo sincronico per l’analisi di un testo non può trascurare la sua diacronia.

Proponiamo un sintetico elenco di contenuti irrinunciabili:

a. struttura del testo: Antico e Nuovo Testamento, l’assetto canonico dei libri, la logica interna, le lingue della Bibbia, i supporti della scrittura (dal papiro al CD-ROM);

b. storia del testo: formazione e caratteri del Testo Masoretico, formazione e caratteri del testo del Nuovo Testamento, i principali manoscritti del Testo Masoretico e del Nuovo Testamento, storia della formazione del canone;

c. le traduzioni del testo: la LXX, la Vulgata, le traduzioni di età moderna (inglesi, francesi, tedesche, italiane), le traduzioni contemporanee, confronto sinottico tra diverse traduzioni;

d. i generi letterari: confronto tra racconti dello stesso genere (la novella, la saga, l’inno, la parabola, l’epistola, genere profetico, genere apocalittico), il fenomeno della riscrittura e dell’intertestualità;

e. i temi:  la creazione, la sapienza, il miracolo, la speranza, lo straniamento, la conversione, la fede, l’esodo, l’amore.

f. le riletture del testo biblico: i contenuti di questa sezione sono meno vincolanti. Ogni docente, in relazione alla propria disciplina o in sede di programmazione interdisciplinare, può elaborare percorsi specifici che tengano conto del piano di studi e del livello della classe[4].

 

Dal punto di vista operativo, considerando le specifiche esigenze di programmazione, sarà utile servirsi di materiali il più possibile sintetici e flessibili quali: presentazioni in powerpoint, siti internet, mappe concettuali[5], materiali interattivi[6].

 

[1] Rimando a E. Borghi (Il Tesoro della Parola.., cit., pp. 97-100) per i dettagli. Si veda anche l’impostazione di G. Theissen, che individua quattro momenti: l’interpretazione, la comparazione, la riflessione, la ricostruzione (Motivare alla Bibbia, cit., pp. 275-285).

[2] E. Parmentier (La scrittura viva. Guida alle interpretazioni cristiane della Bibbia, EDB, Bologna 2007) distingue tra il modello kerygmatico («il Cristo coricato nelle fasce«), il modello storico («il testo come frutto della storia»), il modello strutturale/semiotico («il testo come spazio di relazioni»), il modello narrativo («il testo come storie»), il modello esperienziale («l’interprete come chiave di lettura»).

[3] Un ottimo manuale didattico di iniziazione all’analisi narratologica della Bibbia è D. Marguerat – Y. Bourquin, Per leggere i racconti biblici…, cit., da affiancare a J.P. Fokkelman, Come leggere un racconto biblico…, cit.. Per altri testi, si veda la Bibliografia (sez.: Narratologia, retorica e ermeneutica biblica).

[4] Per un repertorio di percorsi e proposte didattiche, cfr. B. Salvarani, A scuola con la Bibbia…, cit.; P. Stefani, La radice biblica…, cit..

[5] Cfr. A.-M. Ohler, Atlante della Bibbia, Queriniana, Brescia 2006.

 
     
 

6. Bibliografia

 

 

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